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Air – La Storia del Grande Salto Recensione: ecco il nuovo film diretto da Ben Affleck

Ben Affleck torna alla regia per raccontare il grande salto: la storia di Michael Jordan e la nascita delle mitiche Nike Air

C’era un pallone da basket nel commovente finale di Tornare a vincere di Gavin O’Connor, dramma sportivo e di auto-analisi uscito in piena pandemia e oggi considerato il punto di risalita della carriera di Ben Affleck, che in quel periodo stava cercando di lasciarsi alle spalle una marea di problemi sia personali che professionali. E siccome al cinema tutto torna, è proprio col basket che Ben Affleck con il suo nuovo film Air ci ricorda che razza di ottimo regista è in grado di essere.

A sei anni dall’ambizioso e brutto e fallimentare La legge della notte, e esattamente un decennio dopo il clamoroso Oscar al miglior film vinto nel 2013 con il clamoroso Argo (i cui echi si sentono ancora oggi nel recentissimo Tetris, che guarda caso ha più di un punto di contatto con questo film – perché al cinema tutto torna), Ben Affleck si riunisce all’amico di una vita Matt Damon per dirigere, interpretare e co-produrre la storia di come la Nike, negli anni ’80, nel pieno di una crisi economica che rischiava di far chiudere il reparto basketball dell’azienda, riuscì a strappare un contratto di sponsorizzazione a Michael Jordan, sfuggente rookie appena affacciatosi nel mondo dell’NBA e ritenuto da tutti una giovane promessa tra le tante che però, secondo il visionario sports marketing executive Sonny Vaccaro (Matt Damon) è destinato a diventare qualcosa di più.

Born in the USA

Solitamente i film di Ben Affleck sono scritti da Dio (a parte La legge della notte, chiariamo) e infatti Air non fa eccezione: anche se né lui né il sodale Matt Damon hanno preso parte alla stesura del copione (il duo torna a lavorare insieme circa venticinque anni dopo l’Oscar alla miglior sceneggiatura originale condiviso per Will Hunting – Genio Ribelle e ad un paio d’anni dalle poche scene condivise in The Last Duel di Ridley Scott, per il quale avevano firmato la sceneggiatura: questa, tra l’altro, è la prima volta in cui Ben Affleck dirige Matt Damon dopo le recite scolastiche al liceo) Air vive di dialoghi e racconta i suoi personaggi e le loro situazioni attraverso le conversazioni, che in poche frasi riescono a contenere mondi interi, tutte le esistenze vissute fuori dagli uffici Nike.

L’intreccio è semplicissimo e la storia non richiede neppure slanci emotivi o di suspense nelle fasi più salienti, ma tutto si snoda lungo e attraverso dialoghi magnifici in cui spesso e volentieri i personaggi fanno a gara di testardaggine per far si che la propria opinione abbia la meglio su quella dell’altro. Anche con veemenza assurda ed esagitata, anche con insulti spregevoli: si litiga un sacco in Air, faccia a faccia e al telefono, ma lo si fa col sorriso, con la mentalità di una favola capitalista per la quale il lieto fine sembra assicurato. Uno degli esempi più clamorosi di questa predilezione per il dialogo sarà rappresentato da una riflessione su “Born in the USA” di Bruce Springsteen (nella recensione di Super Mario Bros lamentavamo l’utilizzato della musica anni ’80, qui invece la selezione dei brani è da applausi: anche in Air, tra l’altro, come nel film Nintendo, ci sarà il raggiungimento di un’epifania tramite uno spot televisivo) tramite la quale il film ci spiega che le parole sono sempre rivelatrici di una verità che a prima vista può sfuggire.

Air - La Storia del Grande Salto Recensione 1

Menzione speciale, poi, per una delle trovate cinematografiche migliori degli ultimi tempi. In Air Michael Jordan c’è, è presente, ma non lo vediamo mai in faccia: o meglio, vediamo il VERO Michael Jordan comparire di tanto in tanto tramite inserti di repertorio montati nella narrazione per fare da contraltare ad alcuni momenti particolarmente evocativi o salienti della storia, ma l’attore che ne interpreta la versione giovane (lo sconosciuto Damian Young) Ben Affleck non lo inquadra mai in volto, non ce lo fa vedere neanche una volta, addirittura neanche parla.

In Air Michael Jordan è una presenza, è un’idea, è il futuro verso il quale il film si sta dirigendo, è quel futuro in cui tutti i protagonisti hanno scelto di sperare, hanno scelto di credere. La mossa clamorosa di Ben Affleck spinge lo spettatore a ricordare ciò che sa di Michael Jordan, creando una partecipazione che va oltre le parole: anche se per sottrazione, le immagini comandano.

Voto: 4,5/5

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Matteo Regoli

critica i film, poi gli chiede scusa si occupa di cinema, e ne è costantemente occupato è convinto che nello schermo, a contare davvero, siano le immagini porta avanti con poca costanza Fatti di Cinema, blog personale

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