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Apple TV+: le migliori serie tv da guardare

Da Ted Lasso a For All Mankind: 5+1 serie tv disponibili sulla piattaforma Apple TV+ che dovete assolutamente guardare.

Netflix, Amazon Prime Video e Disney Plus: probabilmente avrete già visto quasi tutte le serie tv più fighe disponibili su queste tre piattaforme. Ecco perché oggi, insieme al vero esperto Matteo, che in questi giorni si sta facendo chiamare Mattedamus (il motivo potete scoprirlo nell’episodio 8 del podcast di Freaking News), voglio suggerirvi le migliori cinque serie tv (più una bonus) presenti su Apple TV+.

Introduzione SEO fatta. Facciamo partire il binge watching!

Ted Lasso

Un allenatore di football americano potrebbe mai allenare una squadra di Premier League, il campionato di calcio più competitivo del mondo? Ecco, Ted Lasso prova a dare una risposta a questo improbabile e piuttosto fantasioso quesito. La serie di Apple Tv è calcio, è passione, è resilienza e spirito di adattamento ma è anche una commedia costruita attorno a personaggi ben delineati e approfonditi a cui è impossibile non affezionarsi. Infine, è anche un dramma perché la vita familiare di Jason Sudeikis, co-creatore della serie insieme a Bill Lawrence, vi spaccherà in due il cuore. Non a caso ha vinto il Golden Globe 2021 (qui tutti i vincitori ai Golden Globe 2023) come miglior attore protagonista in una serie comedy. Più in generale, Ted Lasso ha portato a casa diversi premi tra cui Miglior Commedia agli Emmy nel 2021 e nel 2022.

Al momento Ted Lasso conta due stagioni e la terza è prevista per questo 2023. Il calcio visto e raccontato con un occhio diverso, dal punto di vista dei suoi protagonisti – dalla dirigenza al raccattapalle della squadra – e delle loro storie intime, quotidiane. Questo connubio rende la serie tv di Apple Tv uno dei dramedy migliori nel panorama televisivo attuale.

For all mankind

For All Mankind rilegge in chiave ucronica tutto l’audivisivo post-allunnaggio creato ad Hollywood, da First Man a Hidden Figures, dal capolavoro Uomini Veri ad Apollo 11, partendo ovviamente dall‘imprescindibile documentario di Al Reinert del 1989 (dal quale riprende anche il titolo), e nel suo sviluppo seriale risulta appassionante per il concept che sfrutta e le maniere che ha di raccontarlo.

Sorprendentemente, infatti, la massima fonte d’ispirazione alla base della storia sembrerebbe essere nient’altro che Rocky, il leggendario pugile di Sylvester Stallone che ha incarnato un certo modo di pensare ‘all’americana’ e che, nel trovare costantemente la forza di rialzarsi dopo la sconfitta, riusciva ad ispirare la sua nazione. Allo stesso modo For All Manking fa perdere agli Stati Uniti la corsa alla Luna contro l’Unione Sovietica, in questo universo narrativo il primo uomo sulla superficie lunare è un comunista e allora ecco che la nazione di Rocky, sconfitta e umiliata, fa quello che Rocky sapeva fare meglio: rimboccarsi le maniche e darsi da fare.

In questo contesto, mentre si diverte a rileggere la storia e i suoi progressi tecnologici e sociali (negli anni ’80, ambientazione della seconda stagione, abbiamo già una colonia sulla Luna e Marte è il prossimo obiettivo, con buona pace di Elon Musk), si affaccia sulle vite di astronauti, scienziati e burocrati mostrando il lato umano della NASA, l’idealismo e i compromessi, con scelte commoventi e personaggi realmente umani descritti con grande precisione da un cast fenomenale.

Se volete un solo motivo per abbonarvi alla piattaforma, For All Mankind ve ne da tre, uno per ciascuna stagione: e sbrigatevi, perché tra un po’ arriva la quarta.

Servant

Il re del twist – non del ballo, ma del colpo di scena – questa volta fa del twist il fulcro della narrazione e non più una mossa, un passo di danza spiazzante: l’apparenza, il finto, l’inganno, l’illusione, in Servant diventano le uniche realtà in cui credere, mentre M Night Shyamalan e i suoi registi – tra cui Julia Ducournau nonché la figlia del grande autore del paranormale, Ishana Night Shyamalan – a colpi di primissimi piani rumorosi e invadenti sembrano voler riscrivere le regole del gioco del piccolo schermo, esagerando coi formati, sperimentando con le apparecchiature tecnologiche e i loro occhi digitali, deformando le immagini e i volti, ritagliando quadri all’interno di quadri composti con un’attenzione maniacale.

Insieme a WandaVision forse il prodotto televisivo più decostruzionista e teorico della nuova epoca televisiva, terribilmente conscio del suo status e apparentemente motivato da una precisa missione di iconoclastia il cui evolversi diventa una piacere da seguire per lo sguardo.

Scissione

L’anno scorso non la seguii dall’inizio e la recuperai molto tempo dopo l’uscita originale, incuriosito dai colleghi più o meno illustri che seguo quotidianamente tra magazine online e cartacei, e che sia su carta che su desktop avevano scomodato termini come ‘capolavoro e sinonimi vari ed eventuali-

Sapete già com’è finita, perché qualche settimana fa Scissione l’avete trovata nominata nel nostro pezzo sulle migliori serie del 2022 e sono stato invitato pure in radio, al programma La settima ossessione, per parlarne: l’idea alla base della premessa – che non vogliamo anticiparvi, ma che la serie vi farà capire nei primi dieci minuti del primo episodio – è geniale, di quelle che non dimenticherai mai e che spingono un po’ più in là le possibilità della high science fiction, dalle parti di Lost e di Devs, e Ben Stiller (regista e produttore) è riuscito ad impostarla come una matrioska di sguardi e punti di vista, tutti in conflitto fra loro.

Una stagione intera già disponibile, con un sequel in arrivo.

Slow Horses

Dramma di spionaggio cupo e dallo humor sottile (e a volte flatulento) basato sulla serie di romanzi omonimi firmati da Mick Herron.

La storia segue una squadra di agenti dell’intelligence britannica che prestano servizio nel peggio del peggio dei dipartimenti dell’MI5, noto in modo non tanto affettuoso come ‘Slough House’, il girone infernale nel quale le spie vengono spedite a causa di errori che hanno messo (quasi) fine alla loro carriera: il premo Oscar Gary Oldman interpreta Jackson Lamb, il brillante ma irascibile leader dei peggiori agenti della Gran Bretagna, e guida un cast che include la candidata all’Oscar Kristin Scott Thomas, il vincitore del BAFTA Scotland Award Jack Lowden, il candidato all’Oscar Jonathan Pryce e anche – tra gli altri – la star di House of the Dragon Olivia Cooke.

Già due stagioni all’attivo, con una terza e una quarta immediatamente ordinate da Apple e in arrivo prossimamente.

Bonus: Pachinko

Anche questa serie dovrebbe vagamente esservi familiare, cari fedeli lettori (e ascoltatori) di Freaking News, dato che qualche settimana l’abbiamo menzionata più volte parlando delle migliori serie tv del 2022.

Progetto possibile solo dopo i successi di Parasite e il fenomeno ultrapop Squid Game, Pachinko (che prende il titolo da un gioco d’azzardo molto famoso in Corea) è di quelle imprese televisive rare, dal budget spropositato (e finanziabile solo per i colossi dello streaming) e, per una volta, sfruttato davvero fino all’ultimo centesimo allo scopo di inseguire e realizzare l’imponenza: con l’afflato ampissimo e fluviale dei romanzi storici di Mo Yan, la storia copre quasi tutto il Novecento e attraversa le varie generazioni di una famiglia coreana.

Si dialoga col nostro presente perché si parte con un’invasione – quella della Corea da parte del Giappone – c’è il rampantismo economico degli anni 80, si recita in tre lingue e si viaggia tra le epoche con un lavoro di equilibrio che ha del miracoloso. Merito di Kogonada, che ha diretto quattro degli otto episodi totali e imposto stile e atmosfere al collega Justin Chon (regista del recente e dimenticabile Blue Bayou, che invece ha diretto le altre quattro puntate): insieme allo showrunner Soo Hugh, che ha adattato il romanzo ‘La moglie coreana’ di Min Jin Lee, i due registi impressionano per la sontuosità dell’affresco storico messo in scena, e se Kogonada è sempre stato un regista di spazi, qui lo diventa anche dei tempi, trovando nelle sceneggiature di Soo Hugh quella ricchezza emotiva che forse è sempre mancata ai suoi film.

Lui, che è sempre stato un regista superficiale (nel senso letterale del termine: i suoi film – due fino ad oggi, Columbus e il recente After Yang, escludendo i tanti video-saggi che lo hanno reso famoso – si sono sempre interessati alle superfici, alle architetture, agli spazi e agli spazi fra le persone, piuttosto che alle persone e ai loro spazi) con Pachinko forse sorprendente doppiamente, perché non solo dimostra ancora una volta la strapotenza produttiva di Apple TV+ (qui forse al massimo finora) ma contemporaneamente si pone anche come punto d’arrivo per l’evoluzione del suo pensiero – segno che il piccolo schermo, oggi, è più centrale che mai nell’industria anche dal punto di vista dei creativi).

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Andrea Baiocco

Amo la birra, il basket e i videogiochi. Sogno un'Ipa al pub con Kratos e una scampagnata con Nathan Drake. Scrivo su Lascimmiapensa e su Everyeye mentre provo a parlare su Freaking News.

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