
Armored Core 6 – Recensione di chi non ha mai giocato un capitolo della saga
I titoli di coda scorrono davanti al mio monitor. Sono passate 23 ore esatte da quando ho avviato Armored Core 6 sulla mia Xbox Series X. Un giorno intero o quasi, per portare a termine la prima run del nuovo gioco From Software (per poter vedere tutti e tre i finali bisogna completare la campagna principale altre due volte variando le scelte da compiere nel corso di ognuna di esse): non avevo mai provato un capitolo di Armore Core e Fires of Rubicon è stato il mio meraviglioso battesimo del fuoco, un po’ come è successo con Final Fantasy XVI ( qui a proposito la nostra recensione di Final Fantasy XVI). Voglio mettere subito le mani avanti: un modo migliore di approcciare questa saga non poteva esistere.
Sono stato distrutto più e più volte dai boss di Armored Core 6; ho preso in faccia così tanti missili che mi sono spesso chiesto, a posteriori, dove abbia trovato la forza di arrivare fino in fondo, eppure, ho imparato dai miei errori, mi sono adattato ai nemici trovando prima il modo di introdurre sabbia fra i loro ingranaggi e poi la build giusta per sovrastarli; ho aspettato il momento opportuno e ho fatto fuoco. Un esplosione, questo è ciò che ricordo di tutti quei bestioni che non volevano che proseguissi nella mia avventura: la morale insegna che in Armored Core 6 puoi cadere a ripetizione ma l’importante è rialzarsi ed essere consapevoli che alla fine ci sarà sempre un assetto da combattimento che aiuterà ad avere la meglio sul nemico.
Livelli brevi e intensi
Prima di procedere con la nuova missione, do uno sguardo al mech: posso acquistare nuove gambe, più forti di quelle che sto utilizzando al momento, che mi permetterebbero di portare più peso e quindi trasportare armi e armature migliori. Si tratta di un acquisto che sono costretto a valutare perché nella costruzione del proprio alter ego virtuale tutto passa dalle giunture, le nostre fondamenta. Non sono certo però di montarle subito: più divento corazzato, più sono lento in game e, al momento, la mia build sembra piuttosto equilibrata, essendo al tempo stesso sufficientemente resistente ma anche agile e scattante, con i propulsori che mi consentono di elevarmi da terra in pochi secondi e annientare dall’alto qualsiasi minaccia.
Tuttavia, quelle gambe le voglio comunque comprare perché non è detto che non debba far fronte a una nuova, difficile, sfida e, pertanto, potrebbero tornarmi utili. Posso sempre sostituirle a quelle in uso durante lo svolgimento del mio incarico, nell’eventualità in cui abbia bisogno di infliggere danni maggiori a discapito della rapidità nello spostamento sia in verticale che in orizzontale (il livello di personalizzazione in Fires of Rubicon è impressionante e apre a un ventaglio di opzioni per il giocatore così estese da farlo uscire fuori di testa).

In Armored Core 6 gli stage sono brevi, aspetto questo che fa molto videogioco Playstation 2 e non avete idea di quanto sia stato felice di scoprirlo la prima volta: quindici minuti massimo con due o tre punti di salvataggio in cui bisogna distruggere specifici bersagli, recuperare informazioni, fuggire entro un tempo limite, difendere avamposti – anche in compagnia di altri mech controllati dall’I.A. – e tanto altro ancora. Ci sono in totale cinquantanove missioni in Fires of Rubicon, tutte diverse fra loro e ricche di colpi di scena. Apporto le ultime modifiche alla mia macchina da guerra e sono pronto per iniziare il livello.
Mi sollevo in aria e parto in volo alla massima velocità con un controllo del mecha impeccabile. Il computer di bordo mi identifica tre nemici. Faccio cadere una pioggia di proiettili che li riduce in pochi istanti in poltiglia e proseguo verso l’obiettivo. Davanti a me si presentano tre robot corazzati che non sembrano accusare le pallottole dei miei due mitragliatori pesanti. Nessun problema, passo ai doppi lanciarazzi in dotazione posizionati su entrambe le spalle: i primi due missili riempiono a metà la loro barra dello stordimento, i secondi completano l’opera. Adesso che sono storditi, è il momento di crivellarli di piombo, poiché il danno è temporaneamente amplificato. Tutto sembra procedere per il verso giusto; scarico i dati di cui necessitavo prima di rientrare alla base. Pensavo di averla fatta franca e invece, ecco partire una cutscene.
Le boss fight di Armored Core 6
Le boss fight di Armored Core 6 Fires of Rubicon sono il momento di massimo splendore della produzione (qui trovate la nostra guida ai boss più difficili di Armored Core 6). La regia fa il suo gran bel lavoro nel presentarti quella che, con ogni probabilità, sarà la vera gatta da pelare nella prossima ora di gioco (quando ti dice bene). I primi tentativi sono spesso di studio, momenti nei quali si cerca di capire se si sta effettivamente danneggiando il boss oppure se i nostri colpi gli stanno facendo il solletico.
Il primo, vero, boss del gioco, Balteus, è particolarmente debole al plasma e al laser: contro di lui, ad esempio, ho dovuto cambiare build, rinunciando del tutto alla potenza di fuoco standard (mitragliatori pesanti) per montare, invece, un cannone laser sulle spalle e un lanciarazzi al plasma. Insomma, per avere la meglio dell’avversario e proseguire nell’ottimo racconto di Armored Core 6, è di vitale importanza capire le debolezze del nemico e l’assetto migliore per minimizzare i danni che, vuoi o non vuoi, ci saranno sempre e comunque.

Balteus è il grosso scoglio iniziale da superare e a dire la verità, anche l’ultimo grattacapo fino al mech di fine quarto capitolo. Anche in quest’ultimo caso, la sfida mi ha richiesto un nuovo approccio al combattimento: CEL 240 è velocissimo, spara colpi a ricerca che non riesco quasi mai a schivare con le mie gambe attuali e per danneggiarlo, ho bisogno di stargli appiccicato il più possibile, infischiandomene dei danni subiti. È quasi un paradosso: il nemico è davvero forte e invece di pensare a come evitare i suoi attacchi, devo andare sotto di lui e non lasciargli respiro, privilegiando un approccio offensivo piuttosto che uno difensivo.
C’è un solo modo che ho individuato per mettere in pratica la strategia: montare dei cingoli che permettono di essere rapidissimi a terra, rinunciando del tutto o quasi alla capacità di volare. Quelle gambe che non avevo mai voluto testare perché limitavano i miei spostamenti aerei, in questo caso sono risultate fondamentali. Uscire fuori dallo spartito, questa è la chiave di Armored Core 6. Mai anche solo pensare che un unico assetto, quello che fino a quel momento si è rivelato vincente, possa essere sufficiente a superare le insidie diabolicamente programmate da From Software: sperimentare equipaggiamenti a cui non avresti mai pensato per vincere l’ennesima, coreografica, battaglia.
L’Arena di Fires of Rubicon
Prima di chiudere, mi sembra giusto segnalarvi come gli scontri 1vs1 tra mech siano quanto di meglio possa offrire Armored Core 6 insieme alle boss fight. Ci si schiera uno di fronte l’altro e si spara all’impazzata scalando i ranking dell’Arena e ottenere anche gli importanti chip OST che permettono di potenziare il mech con abilità aggiuntive, danni maggiorati e così via. Le regole sono sempre le stesse: c’è una build classica che potete sempre utilizzare ma non è che detto che non dobbiate provare qualcosa di nuovo, perché magari il mech rivale ha un fucile a pompa devastante dalla breve distanza e l’unico modo per sopravvivere è fare in modo di mantenere uno spazio fra voi tale per cui i suoi attacchi più forti non vi riescano neppure a scalfire.

Armored Core 6 mi ha stregato nonostante la sua brutalità: i momenti in cui la sfida si alza improvvisamente non mancano e ritengo sia giusto parlare di sbilanciamento nella difficoltà, come spesso accade nei titoli From Software. Balteus è un boss – in cui il gameplay diventa anche quello tipico di un bullet hell – forse più rognoso di CEL 240 ma non per via di un moveset complesso da memorizzare, bensì perché al momento del suo incontro non si è ben equipaggiati e la conoscenza delle meccaniche di Fires of Rubicon è di molto inferiore rispetto a quando si arriva alla fine del Capitolo 4. L’invito però è quello di non scoraggiarsi perché c’è sempre una luce in fondo al tunnel e quando la si raggiunge, le soddisfazioni saranno molto più grandi delle mazzate incassate.
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