
Hunt e Speak no evil, spie e orrori nei nuovi blu-ray di agosto di Plaion Pictures
Dopo avervi parlato dell’edizione bluray de I tre moschettieri – D’Artagnan edita da Eagle Picture e disponibile per l’acquisto da oggi mercoledì 30 agosto, spostiamo la nostra attenzione su tutt’altri generici cinematografici grazie alle nuove uscite bluray di Plaion Pictures.
Questo mese la casa di produzione ci ha fatto omaggio di Speak no evil, agghiacciante horror psicologico danese diretto da Christian Tafdrup e che dopo l’esordio al Gothenburg Film Festival nel 2021 e il passaggio al Sundance Film Festival fa il suo debutto nel mercato italiano proprio grazie a questa nuova uscita targata Plaion, e il thriller di spionaggio Hunt, diretto e interpretato dall’attore Lee Jung-jae, star sudcoreana divenuta famosa in tutto il mondo col successo di Squid Game.
Diamo un’occhiata alle caratteristiche dei due nuovi film targati Plaion Pictures.

Hunt di Lee Jung-jae
Il capo dell’unità estera della KCIA, Park Pyong-ho (Lee Jung-jae), e il capo dell’unità interna, Kim Jung-do (Jung Woo-sung), vengono incaricati di scoprire una pericolosa spia nordcoreana, nota solo con il nome in codice di Donglim, che a quanto pare si nasconde nella loro agenzia.
Quando il nemico invisibile inizia a far trapelare informazioni top secret che potrebbero mettere a repentaglio la sicurezza nazionale, le due unità vengono ciascuna incaricata di indagare a vicenda sull’altra. La situazione però si fa sempre più tesa, perché Park Pyong-ho e Kim Jung-do sanno che, qualora non dovessero riuscire a scovare la talpa, saranno loro ad essere accusati come spie: e tutto si complica quando, durante le indagini, emerge un complotto per assassinare il presidente sudcoreano…
Lee Jung-jae, protagonista del fenomeno mondiale di Netflix Squid Game, che presto tornerà con una seconda stagione, esordisce alla regia con un thriller di spionaggio che, nella migliore tradizione sud-coreana, va ad inserirsi in quel lungo filone di film che commentano le tensioni tra Corea del Sud e Corea del Nord, da Joint Security Area di Park Chan-wook a Il prigioniero coreano di Kim Ki-duk passando per Burning di Lee Chang-dong, solo per citarne alcuni (lo stesso Parasite di Bong Joon-ho era, sotto sotto, una grande metafora sulle differenze delle due nazioni).
Sequenze d’azione molto fisiche, violenza spesso grafica da exploitation, ritmo vorticoso ed esasperato: un thriller spy-movie che ha la cadenza di un film di guerra, perché è di guerra che in fondo sembra voler parlare il regista, una guerra di visioni del mondo e filosofie di vita.
Speak no evil di Christian Tafdrup
Nella memoria recente pochi horror hanno saputo lavorare così bene sulla tensione delle piccole cose, sui timori che si annidano nella quotidianità e sulla cattiveria nascosta dietro le maschere indossate dagli altri come invece ha saputo Speak no evil, dramma danese co-scritto e diretto da Christian Tafdrup.
Nella storia di due famiglie padre-madre-figlio/figlia che si incontrano (non troppo) casualmente durante una vacanza estiva (nell’immediatamente riconoscibilissima Toscana, pensate un po’), il film trova una durezza di contrasti che lo rende subito e sempre disturbante, nel senso di prurigine epidermicamente fastidiosa ed irritante, e quindi psicologicamente aggressiva, per come, lavorando di trovate di sceneggiatura in trovate di sceneggiatura, il film è in grado di raccontare gli orrori più indicibili e raccontarsi sequenza dopo sequenza attraverso momenti e situazioni familiari per tutti: una chiacchierata in cucina durante i preparativi per il pasto, un ritorno a casa notturno con autista un po’ brillo dopo una serata di bagordi, perfino una pisciata notturna può diventare, all’interno del meccanismo di tensione allestito da Tafdrup, qualcosa di sbagliato, qualcosa di perverso, qualcosa di oscuro.
E fino all’esplosione di violenza assurda nel finale, per il quale non verranno offerte spiegazioni nella miglior tradizione del miglior horror possibile, quello che c’è e basta e che agisce perché si, Speak no evil è un costruire tensione dopo l’altra, scena dopo scena, a partire da ciò che più c’è di naturale nella quotidianità: il contatto con l’altro. Strascichi, forse, di tre anni di pandemia e restrizioni, che qui deflagrano lentamente lungo gli slow motion sui quali a volte cavalcano le scene.
Una discesa lenta nel buio, anticipata del resto dalla sequenza iniziale: una delle migliori corse verso l’ignoto viste di recente.
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