
Blue Eye Samurai Recensione: su Netflix un capolavoro animato
Dopo il successo di titoli come Arcane – basato sul franchise di League of Legends – e Cyberpunk: Edgerunners – spin-off del videogame Cyberpunk di CD Projekt RED – e soprattutto nell’anno della consacrazione definitiva con l’Oscar al miglior film animato ottenuto grazie a Pinocchio di Guillermo Del Toro (qui la nostra recensione di Pinocchio), la piattaforma di streaming on demand Netflix si conferma una volta di più un grande, nuovo centro gravitazionale per il mondo dell’animazione con la serie tv Blue Eye Samurai.
Creazione totalmente originale a firma di Michael Green (sceneggiatore candidato all’Oscar per Logan di James Mangold e autore, tra gli altri, dei copioni di Blade Runner 2049 e il recente Assassinio a Venezia), la storia di Blue Eye Samurai è ambientata nel Giappone del XVII secolo, quello di Silence di Martin Scorsese, quando i confini dell’isola-nazione erano chiusi al mondo esterno e, per diverse generazioni, i cittadini non videro mai un volto che non fosse giapponese: nel malaugurato caso in cui il sangue puro giapponese veniva a mischiarsi con quello impuro dei demoni bianchi, i figli di questa unione abominevole venivano trattati peggio degli animali.
La nostra protagonista è Mizu, una mezzosangue dai tratti caucasici tradita dai suoi occhi blu. Sin dalla nascita, ha dovuto affrontare soprusi, violenza e dolore emotivo, psicologico e fisico per via della sua origine. Una situazione aggravata dal fatto di essere una donna, vera identità che ha sempre cercato di nascondere spacciandosi per maschio. Per tutta la vita si è allenata in attesa della vendetta: Mizu sa che al momento del suo concepimento in tutto il Giappone c’erano solo quattro uomini bianchi che avrebbero potuto mettere incinta sua madre, e ha fatto voto di ucciderli uno dopo l’altro per ripagarli di averla resa una “creatura della vergogna”.
Il costo della vendetta
A pochi mesi dal divertente Nimona (se ve la siete persa, ecco la recensione di Nimona), che giocava sulla figura del villain e del suo ruolo nelle storie dei film d’animazione, Netflix e Michael Green sfruttano il formato televisivo per una storia epica da revenge movie sanguinario e spietato, poetico e profondamente inquietante. Un racconto che gli americani definirebbero ‘character-driven’ nel quale però l’approfondimento psicologico della protagonista procede di pari passo con la frenesia della messa in scena e la spettacolarizzazione del mondo in cui essa si muove.
Come The Last of Us: Parte 2 (l’epocale videogame dal quale dovrà necessariamente passare anche l’adattamento tv di HBO di The Last of Us) anche Blue Eye Samurai metterà la propria protagonista su un sentiero di sofferenza che sarà totalizzante e racconterà nel dettaglio – spesso anche grafico, nel senso di fisico – quale livello di sacrificio bisogna essere disposti a raggiungere per votare la propria esistenza al perseguimento del più oscuro, violento, immorale ma anche umanamente soddisfacente degli obiettivi.

É un tema ricorrente in questo sottogenere dei thriller d’azione, quello della percentuale di umanità e purezza interiore che il protagonista di una storia di vendetta deve immolare sull’altare dell’odio per arrivare al suo obiettivo, che però non sempre viene affrontato di petto e ancor meno in maniera così efficace come accade in Blue Eye Samurai.
Blue Eye Samurai: oltre ogni aspettativa
Blue Eye Samurai si trova tra Mulan e Kill Bill e Lone Wolf e Zatoichi e propone una valanga di idee visive, tantissimi personaggi secondari compiuti e in grado di arricchire tanto il racconto quanto la protagonista e, ciliegina sulla torta, la magnificenza del Giappone dell’era Edo ricreata in un misto di 2D e 3D in grado di rivaleggiare con i mondi fantastici di Spider-Man: Across the Spider-Verse.
L’opera di Michael Green non rinnega il proprio sguardo occidentale (le influenze di Game of Thrones sono tante, a partire dall’uso narrativo che si fa del sesso e della sessualità ma ancor di più lo sono quelle del post-modernismo alla Quentin Tarantino, tra cui spicca anche l’utilizzo di una colonna sonora volutamente anacronistica) ma riesce anche a trovare un mirabile equilibrio tra due mondi, tra due sguardi, diventando quasi un’estensione filmica della stessa protagonista che racconta.
Su Freaking News come saprete non siamo abbastanza snob da rendere l’assegnazione di un voto perfetto un evento mediatico, e sui nostri canali può capitare di vederne spuntare diversi anche nel corso dello stesso anno: in questo caso, lo spenderemo per Blue Eye Samurai senza alcun ripensamento.
VOTO: 5/5
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