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Cocoon Recensione

Cocoon Recensione: tornare al grado zero del videogioco

Senza dover dire nemmeno una parola, Cocoon ci fa uscire dal nostro bozzolo per esplorare nuove dimensioni. Un puzzle game sorprendente.

Quando il lockdown cala come una ghigliottina sulla vita sociale di ognuno di noi nel marzo del 2020, Valerio Mattioli, come racconta nel suo Exmachina – Storia musicale della nostra estinzione, fa quello che la maggior parte di noi ha fatto o avrebbe voluto fare: dar fondo alle proprie riserve di hashish e accendere lo stereo. Si immerge così nella IDM, acronimo di Intelligent Dance Music, così chiamata in mancanza di nomi migliori per un genere che rappresenta una vera e propria cesura rispetto al passato. È musica elettronica tanto artificiale da sfuggire al controllo umano, quasi che fosse un segnale in codice proveniente da un’altra dimensione.

All’ascolto può sembrare musica impossibile da ballare, ma solo se le membra che cerca di coinvolgere sono umane. I suoni che penetrano nelle nostre orecchie sono un virus, una stringa di codice pronta a riprogrammare il nostro cervello senza che questo debba necessariamente comprenderlo. Ecco, con Cocoon – disponibile su Steam, Xbox, PlayStation e Switch e al day one su Xbox Game Pass (qui tutti i giochi di settembre arrivati su Xbox Game Pass) – siamo nei territori di questo ermetismo, oltre la porta della percezione.

Cocoon e la manipolazione dei mondi

Su un pianeta desertico giunge un segnale. Colpisce il bozzolo che dona il titolo al gioco che si schiude. Ne esce una lucciola bipede, libera di muoversi nel mondo. Si torna al grado zero del videogioco, ossia alla pura e basica interazione con un mondo virtuale che, nel caso di Cocoon, non ha alcun interesse a parlare col protagonista o col giocatore. Nulla viene detto sul da farsi ma ciò non vuol dire che, comunque, il gioco non dica nulla. Semplicemente, la comunicazione è di un altro tipo rispetto a quella verbale e logica.

Il segnale si muove sulla nostra pelle sotto forma di vibrazione, passando per il canale sempre aperto delle nostre orecchie. È lo straordinario comparto audio (con le musiche ambient composte da Jakob Schmid) a guidarci verso le macchine, che reagiscono alla nostra presenza. La tecnologia non sembra veramente qualcosa di esterno rispetto al corpo, ha un aspetto organico. L’impulso a interagirvi è naturale e in poco tempo ci troviamo in mano una sfera. Quando viene poggiata in una postazione semi-sferica, questa si illumina come fosse una pozzanghera che riflette un altro mondo. Premendo l’unico tasto utilizzabile, le ali della lucciola vibrano. Spicca un salto. Si tuffa nella sfera. E planiamo in un altro mondo.

Cocoon Recensione 1

Ecco svelata la meccanica principe di Cocoon, la manipolazione di mondi all’interno di altri mondi. Questa modalità è stata rifinita dal lead designer Jeppe Carlsen (qui l’intervista a Jeppe Carlsen di PushSquare), ossia da quando ha lasciato Playdead, per cui aveva lavorato a Limbo e Inside. Quel che si porta dietro, oltre che un affinato e raffinato gusto nei confronti degli enigmi ambientali, è il dono della sintesi. Il minimalismo è l’orizzonte verso il quale è rivolto lo sguardo.

La ricerca della semplicità

Cocoon persegue la semplicità in una maniera illuminante, con l’attenzione necessaria a non farla mai scadere nella superficialità. Anzi, sembra estremamente consapevole di come un mondo risulti vivo in virtù di ciò che ci lascia indietro, più che per la quantità di cose che si affollano davanti ai nostri occhi. Per questo, ancor più che per l’estetica, ricorda una delle più luminose illuminazioni degli ultimi anni, ossia Tunic e, lavorando ancor più di sottrazione, avvicina un’essenzialità che ricorda Journey.

Cocoon Recensione 2

Di fronte a tali scelte, è legittimo temere un certo grado di inconsistenza. Cocoon riesce a tenersi lontano anche da questo pericolo, grazie a una lunghezza contenuta (non è utopia pensare di completarlo in meno di tre ore, ovviamente correndo), ma soprattutto grazie a una curva di apprendimento peculiare: Insieme alla progressione del gioco, avanza la nostra comprensione del mondo di gioco e con essa la nostra capacità di risolvere gli enigmi. Tutto questo, senza che sia necessaria una sola parola. Come le note della IDM penetrano nelle nostre orecchie pronte a riconfigurarci, dal joystick viene irradiato un segnale che si muove sottopelle e ci trasforma, ignari. Chissà quando ci colpirà la rivelazione di essere usciti dal nostro bozzolo.

VOTO: 9/10

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