
Elemental Recensione: il nuovo film d’animazione di Disney Pixar
Dal 2019, anno di addio del deus ex machina, regista e direttore creativo John Lasseter, i Pixar Animation Studios stanno attraversando un periodo di transizione sotto la guida della nuova leadership del regista Pete Docter, che tra mille difficoltà (tra cui la pandemia e l’ascesa di Disney+, che sta pian piano disincentivando gli spettatori ad andare al cinema per scoprire il film in attesa che ‘il contenuto’ spunti gratuitamente sulla piattaforma) sta spingendo, di nuova uscita in nuova uscita, verso nuovi territori per la casa di produzione, i cui titoli stanno assumendo via via tratti sempre meno universali e sempre più specifici.
Elemental, diretto da Peter Sohn (alla sua seconda regia per la Pixar dopo Il viaggio di Arlo del 2015), ne è un perfetto esempio con la sua Elemental City, una metaforona telefonatissima sulla New York City degli immigrati, qui raccontati in Elementi (acqua, terra, aria, fuoco) arricchitisi in ordine di arrivo e quindi oggi suddivisi in una società quasi più compartimentalizzata e classista di quella di Snowpiercer di Bong Joon-ho.
Al centro del racconto, che sarà anche la prima storia d’amore vera e propria della Pixar, l’incontro tra Ember e Wade, lei ragazza di fuoco lui ragazzo di acqua, opposti teoricamente impossibili da accoppiare tanto per le leggi della chimica che per quelle delle strutture mentali degli abitanti di Element City. Naturalmente i sentimenti ci metteranno lo zampino…
Elementale, Pixar
Ecco quindi che la metafora alla base del concept di Elemental rifugge fin da subito quell’universalità totalizzante che caratterizzava i vecchi capolavori Pixar (per quanto ci riguarda, per trovare l’ultimo arrivato dalla fucina della casa di produzione, bisogna risalire al 2017 di Coco) facendosi immediatamente specifica: la storia di un amore interraziale in un contesto di genitori-figli (qui padre-figlia, nello specifico), aspettative e desideri repressi, come tantissime ne abbiamo già viste al cinema (anche Red, uscita Pixar del 2022, giocava tutto sull’influenza che i genitori immigrati volevano avere suoi propri figli, in quel caso madre-ragazza).
Ma sebbene gli standard dei capolavori del passato dell’era Lasseter siano ancora lontani in questa nuova età Docter, la Pixar è sempre la Pixar ed Elemental può ancora vantare punti di forza che la maggior parte dei film d’animazione contemporanei possono solo sognarsi. Lo stile dello studio è sempre stato quello di andare oltre la creazione di un’allegoria più o meno semplice per la storia da raccontare in un dato film, e continuare ad allargarla e a strutturarla lungo tutto l’intreccio per caratterizzare non solo il mondo di fantasia nel quale gli spettatori sono invitati, ma anche i personaggi che lo abitano.

E infatti nell’ennesimo film d’animazione senza villain (sta diventando una vera e propria tendenza, soprattutto in casa Disney) ciò che conta di più è la capacità che ha la Pixar di rendere vivi i suoi protagonisti, di farli ‘recitare’ attraverso l’animazione dei loro movimenti, non necessariamente facciali ma sempre fisici, contestuali al mondo intorno a loro. Questa capacità non è solo di computer grafica (per la realizzazione di Elemental sono stati utilizzati 151.000 core in tre stanze distinte del Pixar Campus, la più grande potenza di calcolo mai usata per un film dello studio) ma soprattutto di visione, di comprensione delle sfumature del grande cinema, e di gran classe.
E che classe, che ha la Pixar.
VOTO: 3,5/5
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