
Ghost Trick: Detective Fantasma Recensione – Il ritorno di un grande classico
La morte è un tema se non centrale quantomeno ricorrente nei videogiochi: a livello di meccaniche di gioco (si potrebbero scrivere libri sui caricamenti seguenti alla morte); a livello narrativo (morti da evitare, morti catalizzatrici, morti accettate, morti invocate per boss troppo potenti) ma anche a livello industriale. Il lavoro contro l’oblio a cui sono destinati ad ora molti giochi delle generazioni precedenti, minacciate dalla crescente incompatibilità dei nuovi supporti, procede con sempre più porting, remastered e il contagio più profondo del reboot. Questa archeologia creativa dell’epoca digitale riporta su Switch, PlayStation 4, Xbox One e PC uno dei capolavori apparsi ormai 13 anni fa su DS (dai creatori di Ace Attorney): Ghost Trick: Detective Fantasma.
Il gioco comincia con la morte del protagonista, Sissel. Eppure, non avviene alcun trapasso. La sua anima, spogliata della sua memoria, si ritrova in un oggetto e può… dialogare con una lampada. Quest’ultima è posseduta da uno spirito che diventa presto il primo maestro di Sissel, spiegandogli i poteri di cui ora può usufruire e dei limiti che ha. Oltre che spostare oggetti e muoversi attraverso le linee telefoniche, il protagonista (e noi con lui) può tornare indietro nel tempo.
In presenza di un cadavere, i suoi ghost trick gli consentono di tornare a 4 minuti prima della morte, dandogli la possibilità di cambiarne il destino (a proposito di indagini nel tempo, ecco la recensione di Crime O’Clock). Così, Sissel riesce a salvare una ragazza dai capelli rossi, Lynne, che ha assistito alla sua morte e che per questo è stata uccisa. Insieme a lei cercherà di scoprire il suo assassino e di modificare il destino. Ognuno dei 18 capitoli nei quali è suddiviso Ghost Trick è legato a un orario, muovendosi inesorabile verso il mattino, quando l’anima di Sissel lascerà il mondo terreno.
Ghost Trick: tra indagini e destino
Il giocatore sarà chiamato, quindi, a un doppio compito: raccogliere informazioni in giro per la città e intervenire per modificare il fato. La prima di queste azioni è sicuramente quella che risulta più faticosa, con le conversazioni origliate che a volte possono essere a sé stanti, quasi del tutto scollegate dalla trama. È un po’ una croce e un po’ una delizia: da una parte ciò aiuta il mondo a respirare, come ci fossero tante micro-trame indipendenti frammentate e disseminate per il gioco.
Allo stesso tempo, però, è un tipo di narrazione che sembra adattarsi più a un contesto portatile come quello del DS, che mette in conto il fatto di essere al di fuori dello spazio privato, con tutte le interruzioni che questo può portare. Seduti sul divano o sulla poltrona, davanti alla tv, tutto sembra risultare più pesante di quel che in realtà è. Rimane, comunque, la libertà di navigare la storia, di concedere il tempo che si vuole ai personaggi che ci intrigano di più, ma soprattutto di perdersi alcuni momenti: un mondo è più vivo in base al numero di dettagli catturabili dal nostro occhio o a quelli che si può perdere?

Gli interventi sul destino risentono sicuramente meno di questo passaggio. Muovendosi di oggetto in oggetto, vi ritroverete a pensare spesso al famoso detto “così vicino eppure così lontano”. È un gameplay abbastanza rilassante grazie al tempo immobile del mondo degli spiriti, nel quale possiamo rifugiarci per riflettere su come fermare l’assassino di turno.
C’è sempre la possibilità di ritrovarsi in un vicolo cieco e soft-lockarsi, soprattutto quando si approccia per la prima volta uno scenario (alcuni richiederanno una morte propedeutica), un fastidio comunque perdonabile ripensando alla storia. Perché è quest’ultima, nel bene e nel male, la pietra angolare di Ghost Trick, complicandosi fino ad affrontare il concetto di multiverso, con anime che si ritrovano nei crocevia delle linee temporali. Eppure, a mano a mano che ci si avvicina alla fine, un dubbio sorge spontaneo: siamo davanti a un ottimo fotoromanzo potenziato o a un buon gioco?
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