
Gli spiriti dell’isola Recensione: il nuovo geniale film di Martin McDonagh
Martin McDonagh torna alla regia con Gli spiriti dell’isola, che riunisce (per ribaltarla) la coppia Colin Farrell e Brendan Gleeson.
Gli spiriti dell’isola di Martin McDonagh è ancora una volta un film tristissimo che però non riesce a non farti ridere delle malinconie e delle assurdità dei personaggi miserabili e delle situazioni paradossali che racconta: è Martin McDonagh all’ennesima potenza, ed è una grandissima opera che gioca sulle aspettative e il loro ribaltamento.
Il più evidente è quello rappresentato dai due protagonisti, Colin Farrell e Brendan Gleeson, volti noti del cinema parlato di McDonagh che si ritrovano qui diversi anni dopo il cult In Bruges con dei personaggi molto simili ai due killer a pagamento sull’orlo di una crisi di nervi di quel film, che però qui si smarcano subito dal cliché dei compari di bevute: sarà l’aria folkloristica delle colline irlandesi (che ritroviamo dopo lo splendido Il prodigio di Sebastian Lelio), che le leggende vogliono infestate da ‘gli spiriti dell’isola’, ma la miccia che fa partire il film è proprio la fine della loro amicizia, che scoppia inspiegabile di punto e in bianco. Come se tra i due fosse successo qualcosa prima dei titoli di testa, o tra un film e l’altro: un attacco che agisce a livello inconscio, subliminale, sullo spettatore, e imposta una tragicommedia da vento freddo nelle ossa, che sembra sempre gelida anche nel tepore del pub, anche davanti al caminetto.

Tutta la storia è ambientata su un’isola – appunto – un mondo altro per sua natura ‘staccato’ dal resto della realtà, un proscenio sul quale agire: il litigio al centro del racconto diventa una chiara metafora di una guerra esteriore che appartiene a tutto il popolo (dal loro palco, dalla loro isola – McDonagh viene dal teatro, e a guardare i suoi film non serve ribadirlo – i personaggi guarderanno più e più volte le coste della terraferma, attirati dai lampi degli spari e delle esplosioni della guerra civile del 1923) ma questo autore è troppo bravo e troppo non-banale per farsi trascinare nei vortici delle facili allegorie.
Il microcosmo di Martin McDonagh
Così, in un film che ancora una volta riporta nel suo titolo la sua stessa ambientazione per metterla in risalto e darle il ruolo di vera protagonista (In Bruges, Tre manifesti a Ebbing, Missouri), quell’ambientazione viene usata da McDonagh per la creazione di un microcosmo a sua immagine e somiglianza, in cui tutto ciò che accade sembra preordinato perché è lui a deciderlo e ciò che vediamo, e i personaggi che incontriamo, per quanto assurdi vengono percepiti sempre come profondamente reali perché è McDonagh a vederli così: sono reali quando li guarda l’autore, quando li guardiamo noi e perfino quando li guardano i loro animali domestici (non solo l’asina Jenny, commovente tanto quanto l’EO di Jerzy Skolimowski, ma anche il cagnolino di Brendan Gleeson), come se l’assurdo conflitto che li porta allo scontro fosse tanto serissimo per i due protagonisti quanto incomprensibile per tutti gli altri.
Menzione speciale per il paesaggio, che rende Gli spiriti dell’isola il film più personale di Martin McDonagh: nella graduale ed inevitabile escalation tra i personaggi, che è anche uno scontro di approccio alla recitazione (dal minimalismo di Gleeson alle espressive sopracciglia di Farrell), gli scorci gotici delle ‘cime tempestose’ delle isole irlandesi parlano di una situazione immutabile, e di conseguenza impossibile da risolvere, come i conflitti (esteriori ed interiori) e i misteri della vita. Non per niente lo abbiamo menzionato nella classifica dei migliori film del 2022 secondo Freaking News.
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