
Guardiani della Galassia 3: recensione dell’ultimo film MCU di James Gunn
Guardiani della Galassia 3 è l’ultimo film Marvel del regista James Gunn, autore dell’intera trilogia cinematografica (più il recente Guardiani della Galassia: Speciale Natalizio per Disney+) dedicata ai supereroi galattici più sfigati dei fumetti Marvel Comics resi però iconici dal franchise per il grande schermo (al punto che i Marvel Studios hanno riservato loro un posto d’onore anche nel dittico campione d’incassi Avengers: Infinity War e Avengers: Endgame).
Passato nel frattempo in casa DC Studios prima come regista di The Suicide Squad e della serie tv sequel spin-off Peacemaker e poi come leader del nuovo progetto cinematografico DCU, Gunn torna qui per chiudere la storia di Star-Lord, Gamora, Nebula, Drax, Groot e Rocket Raccoon e tutti gli altri iniziata nel lontano 2014, prima di trasferire in pianta stabile baracca e burattini nei lotti Warner Bros (il suo prossimo film, Superman: Legacy, reboot del franchise DC e primo capitolo del DCU, è atteso per luglio 2025).
Ma siamo all’inizio del secondo atto dell’epica Saga del Multiverso, e il termine ‘chiusura’ dalla parte dei Marvel Studios è equiparabile alla blasfemia: la domanda quindi è, il film è in grado di rappresentare un punto di incontro tra le necessità del più ampio arco narrativo della saga e il doveroso saluto barra giro della vittoria a barra di uno dei suoi massimi esponenti?
La risposta: si e no.
Guardiani della Galassia, addio (?)
A circa due ore e quaranta minuti di durata, Guardiani della Galassia 3 è uno dei film MCU più lunghi di sempre (vogliamo aprire una parentesi sulla frequenza con la quale Hollywood ha iniziato a concedersi a minutaggi di proporzioni ragguardevoli, dopo quasi un secolo di film da ’90 minuti e diversi decenni di film da ‘120 minuti? Meglio di no o finiamo lo spazio a disposizione) ma la cosa non è che giovi proprio a suo favore.
Ingolfatissimo di personaggi e tremendamente macchinoso nello svolgimento della narrazione ma consapevole di dover ritagliare ad ognuno dei protagonisti lo spazio necessario agli addii (senza contare i tanti personaggi secondari, e addirittura quelli che qui vengono introdotti in vista dei prossimi capitoli…), il film di James Gunn ‘gioca sporco’ e sostanzialmente monta insieme due storie, l’una collegata all’altra (o, per meglio dire, l’una conseguenza dell’altra), sacrificando però la scorrevolezza dell’incedere di entrambe: e fino a che le due macro-sequenze, destinate a collidere, finalmente non si incontrano (a circa due ore e un quarto dai titoli di testa), il film non fa che procedere con pause e ripartenze, continuamente, un premere stop qui e schiacciare play là per interrompere quella storia e riavviare l’altra, e viceversa. Niente a che vedere con la fluidità perfetta del capolavoro Avengers: Infinity War, che aveva quasi la stessa durata ma decine di personaggi in più.

Parlare senza fare spoiler è difficilissimo, ma basti dire che ad un certo punto un personaggio dirà ad uno dei protagonisti: “Questa è sempre stata la tua storia, solo che non l’hai mai saputo prima“. Ed è sostanzialmente vero, solo che il film fa di tutto per seppellire quella storia dentro l’altra alla quale continua a tornare e tornare. Una scelta di sceneggiatura un po’ pigra, che va a braccetto con quella della selezione dei brani della colonna sonora, di un didascalico da lasciare spiazzati.
Certo poi però al cuor non si comanda, come si suol dire: e Guardiani della Galassia 3 non ha soltanto una delle scene più emozionanti e memorabili dell’intero MCU (che ha a che fare con dei procioni e delle gabbie, mettiamola così), ma anche tantissimi colpi di genio (uno fra tutti: permettere anche al pubblico di capire finalmente la parlata di Groot, perché dopo dieci anni tutti noi siamo diventati Guardiani della Galassia), un Dave Bautista magistrale nei tempi comici e un villain antipaticissimo e totalmente monotono che vuoi soltanto odiare e vedere sconfitto dai buoni (che per una volta forse è un bene).
In definitiva, un finale (?) (si certo come no) un po’ svogliato e meno ispirato del previsto, ma comunque appassionato e soprattutto sincero nel voler trascorrere più tempo possibile con i suoi protagonisti. Anche a costo di sacrificare la riuscita generale del film.
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