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Indiana Jones 5 Recensione

Indiana Jones e Il Quadrante del Destino Recensione: l’addio di Harrison Ford

Abbiamo visto Indiana Jones e Il quadrante del destino, l'ultimo capitolo della saga con Harrison Ford: ecco la nostra recensione.

Dopo la conferenza stampa di Indiana Jones e Il quadrante del destino con Harrison Ford, Phoebe-Waller Bridge e Mads Mikkelsen nella cornice del Taormina Film Festival alla quale Freaking News ha preso parte grazie a Walt Disney Italia e che abbiamo pubblicato sui nostri canali nei giorni scorsi, finalmente le luci della sala si spengono e la immortali note della colonna sonora di John Williams risuonano nei timpani per l’ultima volta: è arrivato il momento dell’avventura finale di Henry Jones Jr, il mitico archeologo creato da George Lucas e Steven Spielberg nell’ormai lontano 1981.

Qui si fa la storia del cinema, quindi sfoderate fedora, stivali e frusta e preparate i fazzoletti: ogni eroe deve andare incontro al proprio destino e oggi è il turno di Indiana Jones, eterno avventuriero fuori dal tempo e ricercatore del passato qui una volta per tutte messo faccia a faccia col futuro.

James Mangold, regista del crepuscolo

Di fronte alla sfida più importante della sua (già scolpitissima e comprovata) carriera, quella cioè di dover dirigere non solo l’ultima avventura di Indiana Jones ma anche la prima in assoluto senza Spielberg (autore di tutti e quattro i capitoli precedenti, I predatori dell’arca perduta, Indiana Jones e il tempio maledetto, Indiana Jones e L’ultima crociata e l’ingiustamente vituperato Indiana Jones e Il regno del teschio di cristallo), il James Mangold assurge definitivamente all’Olimpo dei geni del cinema d’intrattenimento trovando la commistione perfetta tra il mito del passato e il crepuscolo del futuro.

Regista di tramonti e ere che finiscono (da Copland a Walk the Line, da Logan a Ford vs Ferrari), Mangold dipinge Indiana Jones come mai era stato fatto prima, ovvero come un uomo slegato dal tempo eternamente richiamato dal passato (è un archeologo, del resto, e ciò che è stato è ciò che è) e ormai superato, dimenticato, inutile in vista delle corse verso il futuro che l’umanità sta iniziando a compiere (la corsa alla Luna, siamo alle soglie degli anni ’70: esemplare la scena di Indy che, in sella ad un cavallo come in un western, sfreccia davanti agli di ritorno dall’Allunaggio).

Indiana Jones 5 Recensione 1

E’ in questa era di passaggio che Mangold coglie Indiana Jones, che è anche l’era di passaggio del cinema: il testimone che il regista raccoglie dal passato (Spielberg) è quello della magia della settima arte, magia che al cinema è scienza/tecnologia, dimostrando di aver capito cosa rende eccezionali i film di Indiana Jones fin dalle primissime inquadrature.

Nell’avventura crepuscolare che sa anche di cinefilia (tra Sturges di La grande fuga e Aldrich di Quella sporca dozzina, le influenze principali di Spielberg per I predatori dell’arca perduta, e ovviamente lo stesso Spielberg: c’è una trovata con un foro di proiettile in un completo da ufficiale nazista che grida spielberghiano da tutte le parti), Mangold riesce a imprimere la sua impronta, con scene d’azioni frizzanti come quelle di Innocenti bugie e un senso di reverenza che intercetta traiettorie classiche e gioca coi generi.

Un Indiana Jones che si trasforma rimanendo sempre uguale, perché il cinema si trasforma rimanendo sempre sé stesso: è quello che ci dicono i commoventi, splendidi istanti finali, richiamo al passato ma anche omaggio al futuro che arrivano improvvisi e che sembrano essere sempre stati lì in attesa, come il fulcro verso il quale tutto il film – e tutta la vita di Indiana Jones – si è mosso fin dall’inizio.

VOTO: 4/5

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Matteo Regoli

critica i film, poi gli chiede scusa si occupa di cinema, e ne è costantemente occupato è convinto che nello schermo, a contare davvero, siano le immagini porta avanti con poca costanza Fatti di Cinema, blog personale

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