
Limbo: una Hong Kong noir, inquietante e indimenticabile in Blu-Ray 4K
Amanti del cinema asiatico, a raccolta: dopo l’esordio in 4K di Millennium Mambo di Hou Hsiao-Hsien del quale vi abbiamo parlato qualche giorno, non possiamo non segnalarvi il debutto in home-video di uno dei titoli orientali più interessanti degli ultimi anni: Limbo di Cheang Pou-soi.
Presentato in concorso al Festival del Cinema di Berlino 2021 e successivamente passato anche per il Far East Festival di Udine dello stesso anno, il film riceve finalmente una meritatissima edizione home-video in 4K per Capelight Pictures, che arriva come una manna dal cielo per far risaltare sullo schermo domestico tutta la potenza sfibrante di questa Hong Kong in bianco e nero che è un inferno fetido, marcio, schifoso, puzzolente, bagnatissimo, una metropoli informe (e multiforme) che il regista trasporta nello spazio onirico e surreale del monocromatismo nel quale ogni inquadratura sembra inseguire un horror vacui debordante e martellante.
Un limbo in bianco e nero
Già dal titolo Limbo sembra volersi posizionare in una realtà diversa, altra, e infatti tutti i personaggi principali in un modo o nell’altro saranno bloccati nel tentativo, con molta probabilità futile, di trovare una maniera per “andare avanti”.
Però più che in un limbo il film di Cheang Pou-soi sembra ambientato soprattutto in un inferno, una dimensione fetida ed espressionista ma mai compiaciuta davvero, un mondo attraverso cui il regista sembra puntare a riesumare i fasti del cinema di genere hongkonghese per aggiungerci anche qualcosa di nuovo.

Il giovane Will Ren e il veterano Cham Lau si ritrovano così a dare la caccia a un ossessivo serial killer particolarmente brutale, un nuovo squartatore di prostitute che si diverte a tranciare la mano sinistra delle sue vittime. Il destino dei due poliziotti si interseca con quello della criminale Wong To, una giovane ragazza senza futuro legata a doppio filo a Lau a causa di un tragico evento del loro passato. Imprevedibile e insubordinata, però, la ragazza è anche vittima di un mondo violentissimo e sempre più folle che risucchierà i due detective, mentre tutti e tre affonderanno nella spirale di una Hong Kong labirintica e senza via di fuga.
Mescolando una brillante osservazione dei rituali e dei cliché del poliziesco a un andirivieni di stili e forme – tra primi piani forsennati e un montaggio ultrarapido in grado di farsi di punto in bianco riflessivo o estetizzante nei ralenti per poi tornare convulso – Cheang Pou-soi trova, tra gli esorbitanti cumuli di spazzatura che ricoprono ogni via calpestata dai protagonisti, una frontiera dell’anima: Limbo crea un mondo che pare l’esagerazione filmica di quello in cui abitiamo noi e nel quale gli eccessi di violenza più insopportabili si sposano alla perfezione con gesti di una così grande tenerezza da sembrare impossibili.

Quasi a voler sondare i confini del sopportabile, il regista riempie ogni inquadratura più che può ottundendo la vista come per esorcizzare un terrore del vuoto dell’immagine e scoprirlo, evidenziarlo, denunciando una società debordante letteralmente “piena” (di orrore, di schifo, di marciume) attraverso una ricercatezza barocca dell’immagine.
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