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Miami Vice: romanticismo e epica nel leggendario remake di un cult

Michael Mann, creatore della serie tv cult Miami Vice, firma il 'remake' per il grande schermo segnando per sempre il cinema digitale.

“One of these mornings
Won’t be very long
You will look for me
And I’ll be gone”

C’è un momento di cinema gigantesco immenso folgorante e immortale in Miami Vice di Michael Mann, capolavoro moderno del cinema digitale dalla cinepresa mai doma e sempre in movimento, affamata di istanti e gesti, di sguardi e sensazioni, capace di portare non tanto lo spettatore nella scena quanto la scena nello spettatore: parliamo della prima fuga d’amore di Sonny e Isabella verso L’Avana, che amanti in quel momento preciso della narrazione ancora non sono ma che il film già come tali li dipinge.

Scandita costantemente dalle musiche, la loro storia d’amore nasce e muore con esse e si muove secondo i loro ritmi: innescata da un over the shoulder di Yero, villain il cui punto di vista già prelude al sospetto crescente che monterà nei confronti della coppia, la sequenza si muove in sella ad un motoscafo esagerato (uno dei simboli dell’epocale serie tv di Miami Vice, creata sempre da Mann e creatrice di stili e forme su piccolo schermo), si tuffa nella palette azzurra di quell’oceano che nei film dell’autore si intravede sempre e che tra le sue onde nasconde ogni volta nuovi significati, ed è accompagnata dalla malinconica One of these mornings, il cui testo agisce da contrappunto tragico al brivido galeotto della fuga romantica.

La conversazione tra Colin Farrell e Gong Li già allude a ciò che verrà, Mann evade dagli skyline opprimenti della città e ci mostra l’immenso della libertà e dell’indipendenza che Isabella desidera (e che otterrà, seppure con risvolti agrodolci), e l’elettricità che vibra in ogni inquadratura risuona nelle note della colonna sonora, che preannuncia un addio distante ma inesorabile scatenando un cortocircuito incredibile con le immagini: uno squilibrio epico sul quale grava il peso della tragedia greca.

Miami Vice 1


Miami Vice: spazi e tempi nel digitale

Tra mojito a gogo, motoscafi e decappottabili, distese di mare a non finire, palme al vento e cieli elettrici di lampi, docce gelate di corpi nudi e balli torridi e bollenti appiccicati uno contro l’altra in locali sulla spiaggia dell’Havana, Miami Vice usa il digitale per dipingere nuovi spazi e far evadere il thriller metropolitano dalla metropoli (tana, se si pensa al finale di Collateral). E a ben vedere pure dal thriller, per come il senso del film si può racchiudere tutto in uno sguardo, quello che Sonny rivolge alle onde sperdute verso l’orizzonte e che già cela il finale di Isabella (quando lui guarda fuori da quella vetrata e osserva il mare, in quello sguardo Miami Vice ci racconta la fuga del noir dai luoghi tipici del noir).

Non casualmente, nel finale, arriverà speculare il montaggio risolutivo, nel quale l’amore dannato tra Sonny e Isabella viene sacrificato per preservare la salvaguardia del team di protagonisti: mentre Gong Li si allontana su quello che è idealmente lo stesso motoscafo, intorno al quale l’orizzonte sconfinato della prima fuga d’amore ha lasciato il posto nello sfondo al profilo della terraferma (simbolo di una fuga dall’amore) Naomi Harris si risveglia dal coma e una carrellata da sinistra a destra “trasforma” il letto d’ospedale in quello della casa di Isabella, unendo i due tempi e i due spazi, morte e amore che si ribaltano e si scambiano di ruolo. E non appena Mann stacca sul nero e fa brillare quel logo ‘Miami Vice’ che arriva a chiudere il cerchio, One of these mornings torna come una profezia finalmente compiuta.

Miami Vice Blu-Ray

E Mann che, più di tutti, in assoluto, è in grado di imprimere nello schermo la verticalità dell’urbanizzazione moderna per dipingere spazi dalla profondità di campo immensa nei quali far risaltare tutta la piccolezza dell’uomo, intrappola Sonny in un emblematico ritorno alla metropoli che sembra sospeso nel tempo e quindi diventa eterno. 

Il non-finale del film si impone poi come una delle cose più perfette mai girate, montate e musicate: per il suo essere climax poderoso, per il suo lasciare tutto in sospeso, per come il suo crescendo monta attraverso le note di ‘Auto Rock’ di Mogwai e per come, nonostante serva a chiudere il film, diventi una sorta di big bang ostinatissimo camuffandosi per l’inizio di qualcosa e non di una fine. Perché in Michael Mann c’è sempre un sacrificio da compiere, un qualcosa da immolare, un lasciarsi indietro.

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Matteo Regoli

critica i film, poi gli chiede scusa si occupa di cinema, e ne è costantemente occupato è convinto che nello schermo, a contare davvero, siano le immagini porta avanti con poca costanza Fatti di Cinema, blog personale

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