
New Religion Recensione: il J-horror rinasce con Keishi Kondo
Segnatevi questo titolo e il nome del suo autore, perché come spesso è accaduto negli ultimi anni è ancora una volta il cinema asiatico a portarci in dote un nuovo interessantissimo esordiente (a proposito di cinema asiatico, ecco la nostra recensione di Millennium Mambo): presentato al Trieste Science+Fiction Festival del 2022, New Religion di Keishi Kondo arriva a ricordarci di quali (non)forme sia capace il cinema giapponese, autosufficiente anche di fronte alla massima pochezza di budget perché vivo di idee, trovate ed entusiasmo.
La storia, quella di Miyabi, una donna che all’improvviso perde la figlia piccola a causa di un banale incidente domestico, flirta con l’horror da trauma, lo smarrimento psicologico e le traiettorie del cinema di David Lynch e Kiyoshi Kurosawa, raccontando i dolori invisibili della non-vita post-lutto. Divorziata ed eternamente sola anche se seguita passo passo dal nuovo fidanzato che vive con lei, la protagonista trova lavoro come ragazza-squillo e un giorno incontra un nuovo cliente desideroso, al primo incontro, di fotografarle la colonna vertebrale.
Le parti del corpo di Miyabi oggetto del feticismo di lui variano da incontro ad incontro, ma ad ogni nuova fotografia la ragazza si rende conto che lo spirito della figlia prende ad avvicinarlesi sempre di più…
New Religion: scomporre l’immagine
La nuova carne profetizzata da David Cronenberg in Crime of the Future diventa una ‘nuova religione’ per Kondo, cineasta singolare quantomai interessante che al secondo film (sembra già l’opera di un autore fatto e finito!) schiva lo scivolone verso il compitino-omaggio e, nonostante influenze, omaggi ed echi siano chiarissimi, riesce a ritagliarsi uno spazio che sembra solo nel panorama dell’horror contemporaneo, specie quello giapponese.
Totalmente avulso dal sistema produttivo domestico (girato in completa autonomia, con amici e conoscenti, finanziato autonomamente e realizzato nei ritagli di tempo, ma lo spirito amatoriale è nascosto benissimo da una tecnica ineccepibile) e quindi anche totalmente libero (nessun produttore degno di questo nome avrebbe potuto tollerare il ritratto spietato e cinico della società nipponica che emerge dal film), New Religion racconta la storia del bisogno di un nuovo sostegno, di una nuova fede, di una presa di posizione, di un cambiamento.

Procedendo per sottrazione, scomponendo l’immagine partendo dal corpo della protagonista, Kondo realizza un affresco impietoso dell’anima dell’umano contemporaneo, lasciato indietro da una società che avanza irrefrenabile e disperatamente alla ricerca di una nuova guida, un nuovo corso, un nuovo guru da seguire ovunque e comunque, per respingere quell’immobilità emotiva e psicologica che le geometrie strutturali delle metropoli alimentano con le loro ombre al neon.
Forse il nuovo decennio potrebbe aver appena tracciato una direzione inedita per la rinascita del J-horror: certamente il nome di Keishi Kondo è da tenere in considerazione per il prossimo futuro.
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