
No Sudden Move: Steven Soderbergh per un noir che è già cult
La piattaforma di streaming on demand HBO Max sembra aver offerto all’infaticabile sperimentatore delle forme delle immagini Steven Soderbergh, il palcoscenico (digitale) ideale per portare avanti i suoi artifici: dopo Let them talk, girato in fretta e in furia e con pochissimi mezzi e largamente improvvisato a bordo della Queen Mary 2, e prima di Kimi (se ve la siete persa, ecco la nostra recensione di Kimi), l’autore propone con No sudden move un period crime thriller al solito raffinatissimo e di grandi dialoghi, tramite il quale però prosegue ancora una volta quel discorso formale che da sempre contraddistingue la sua opera.

Il cinema di Soderbergh è un cinema cangiante, che si mette continuamente in discussione e adora sperimentare, lo fa da sempre ma negli ultimi anni è diventato quasi impossibile stargli dietro: tra film girati col cellulare e grandangoli deformanti, qui l’autore si mette alla prova con il noir classico riprendendone i dogmi (la trama intricatissima, gli angoli di ripresa obliqui, la colonna sonora inquieta e malinconica) per rileggerli secondo la sua concezione del cinema di genere, che è in parti uguali grande intrattenimento hollywoodiano e critica caustica ai sistemi idiosincratici che regolano il mondo e le sue iniquità.
Naturalmente anche dietro alla fotografia e al montaggio – ma nascosto dietro i suoi famosi alias, Peter Andrews e Mary Ann Bernard – Soderbergh con No sudden move mescola il thriller di rapine all’home-invasion stile Ore disperate di Michael Cimino, intessendo una storia di tradimenti, doppi giochi e inganni che però va sempre oltre, in direzione di qualcosa che riguarda non solo i personaggi al centro dell’intreccio ma che riesce ad arrivare anche al pubblico di oggi: un’opera jazz, che va in ogni direzione senza perdersi mai e mantenendo la stessa costanza che da sempre contraddistingue il suo autore.
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