
Nuovi film in tre righe: il meglio e il peggio della settimana EP8
Al cinema e sulle piattaforme di streaming potete trovare tantissimi film più o meno interessanti. Ogni settimana ne selezioneremo alcuni per scriverci sopra recensioni molto brevi con tono ironico e scanzonato. Un raccoglitore utile e pratico con tanto di citazioni che rimarranno impresse nella memoria di Google. Se vi siete persi l’episodio sette, potete recuperarlo qui.
Beau ha paura di Ari Aster
Una ciofecona da orgia di hipsterismo, tanto elegante e sottile da vergare il termine ‘GUILTY’ nei primi minuti tanto per chiarire: se il cinema è apertura Beau è il suo esatto contrario, onanismo pseudo intellettuale che scoperchia tutti i danni scaturiti dal fraintendimento del cinema psicoanalitico di Fellini, universale perché capace di parlare a tutti.
Beau ha paura parla solo ad Ari Aster, al massimo a Alejandro Gonzalez Inarritu: da vedere in doppia programmazione con l’altra ciofeca Bardo, per risate assicurate. Gran peccato questa deriva, Hereditary e Midsommar erano dei grandi film: già temiamo il prossimo.
Ghosted di Dexter Fletcher
La prima mezz’ora romance ha dei dialoghi che vorresti cavarti gli occhi per tapparci le orecchie, poi arriva la parte action e in qualche modo riesce a farti rimpiangere quella precedente.
Mi sta bene il voler riconfigurare i ruoli della donna (forte e dominante, come nel poster) e dell’uomo (damigello in pericolo) però ci si dovrebbe sforzare un po’ di più e provare ad inventare nuove soluzioni e non semplicemente interscambiare i cliché del secolo scorso (Chris Evans che se la cava con un calcio tra le gambe al nemico di turno, classica azione della ragazza co-protagonista). Questo tipo di pigrizia, andando avanti, ti spinge a prendere il personaggio di Ana de Armas (che non vale neanche un secondo dei cinque minuti della Paloma di ‘No time to die’) e a inquadrarlo mentre se ne va piagnucolante come una femminuccia dopo il primo ’no’ che le arriva dai piani alti.
Ve lo immaginate l’Ispettore Callaghan che fa il broncio e sbatte i piedi di fronte al capitano della polizia e al sindaco?
Il sol dell’avvenire di Nanni Moretti
Niente di nuovo sul fronte Orientale, ma per presa di posizione.
Se è vero che il problema dell’immagine oggi è bioetico, perché ogni inquadratura può essere manipolata, sintetizzata e sostituita, ovvero rifatta, ovvero ri(at)tualizzata, ovvero re-make, questo film abbraccia il rifarsi e ri-fa tutto, e ri-trova Michele (qui Giovanni) in un oggi costantemente messo a confronto con ieri, all’interno di un non-tempo che è quello del cinema e dell’immaginario e non della Storia, dell’Avvenire, perché anche quella si può ri-fare con i ‘se’.
La casa – Il risveglio del male di Lee Cronin
La mamma è sempre la mamma, La casa è sempre La casa.
Un film remix, dj, che cambia e reinventa mantenendosi la matrice originale: da gran sostenitore del sequel/remake/reboot di Fede Alvarez, ho apprezzato il ritorno di quella ferocia gore, che se non è record nella storia del cinema per l’impiego di sangue finto poco ci manca.
E’ anche a mani basse il capitolo più spaventoso dell’intera saga, quindi siete avvisati. Se avete il coraggio per un assaggio, qui c’è il trailer.
Peter Pan & Wendy di David Lowery
Ecco, in questo remake ci speravo davvero ma del resto com’è quel detto sul modo di morire di chi spera?
Non che sia un brutto film (posto che si possa fare un film memorabile dalla storia di Peter Pan: anche Spielberg ha trovato difficoltà, ed è Spielberg) ma fa decisamente poco o nulla per (tentare di) smarcarsi dalla formula standard di un fantasy qualunque: l’amaro in bocca è doppio se si considera che Lowery, che con i precedenti Storia di un fantasma e The Green Knight aveva firmato rispettivamente un ghost-movie cult e uno dei migliori fantasy arturiani di sempre, aveva già fatto un buon film per la Disney, Il drago invisibile, pure in quel caso remake (di Elliot e Il drago invisibile del 1977).
In buona sostanza, l’ennesimo film ‘meh’ di un servizio streaming: la cosa migliore è un sorprendente Jude Law nei panni di una versione inaspettatamente romantica di Capitan Uncino, ma se cercate una versione alternativa della storia del Peter Pan che conoscete (in chiave di rivisitazione, non di remake) date un’occhiata a Wendy di Benh Zeitlin.
Suzume di Makoto Shinkai
Non sono mai stato un fan accanito del cinema di Makoto Shinkai – autore di film animati diventati famosissimi come Il giardino delle parole, 5 centimetri al secondo o i mega blockbuster campioni d’incasso ai limiti del fenomeno culturale Your Name e Weathering with you – i cui titoli ho sempre trovato troppo ruffiani nella ricerca del sentimento, evocatori di lacrime forzate e ingolfatissimi a livello narrativo. Non l’ho mai messo sullo stesso piano di autori come Hayao Miyazaki, Isao Takahata, Hideaki Anno, Katsuhiro Ōtomo, Satoshi Kon e Mamoru Oshii, e nemmeno su quelli del suo quasi coetaneo Mamoru Hosoda.
Eppure ogni sua pellicola ha almeno sempre tre o quattro trovate indimenticabili, da scomodare il termine ‘geniali’. E la sensazione generale guardando il suo cinema finora è sempre stata quella del ‘prima o poi’. Ecco ora ci siamo, perché Suzume è un film bellissimo: un film anche molto maturo nel quale, a differenza dei precedenti – tutti giocati su scelte al bivio e slalom per evitare l’inevitabile – si giunge ad una sorta di conciliazione con quell’inevitabile, se ne accettano le conseguenze e si tenta di trovare una strada per assorbirle, introiettarle, superarle.
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