
Ricordi videoludici: un omaggio a Nba Street Vol. 2
Ricordo ancora come fosse ieri, il lontano 2003. Avevo undici anni e “le mie toste giornate filavano così, tra un mega-tiro a canestro e un film di Spike Lee”, spensierate e felici, piene di carboidrati a pranzo e a cena, senza il minimo pericolo – o l’ansia – di mettere su un etto. Giocavo a basket, o meglio, provavo a giocare a basket, nella convinzione che un giorno, altezza permettendo, avrei preso parte, con un no look alla Jason Kidd, a un contropiede sui grandi e luminosi parquet dell’Nba. La pallacanestro negli Stati Uniti era essenzialmente il punto di arrivo di chi passava i pomeriggi su Tele + a imparare i cross over di Allen Iverson oppure a chiedersi se il rapporto di amore e odio, ma che gran bell’amore e odio, tra Kobe Bryant e Shaquille O’Neal, avrebbe regalato la quarta parata consecutiva a Los Angeles (spoiler no!). Tanto del merito di quel fanatismo tendente all’ossessione che in quel preciso periodo della mia vita non aveva confini, risiedeva anche nelle telecronache di Federico Buffa e Flavio Tranquillo capaci di spiegare il basket anche al “lattaio dell’Ohio”.

L’invenzione nata a Springfield nel 1891 abbracciava, e qui lo scrivo con un pizzico di nostalgia, ogni aspetto della mia quotidianità. Ora, se non conoscete per filo e per segno la storia dello sport con la palla a spicchi oltreoceano, dovete sapere che nei primi anni Duemila, prima della rissa al Palace Auburn Hills – se volete saperne di più, c’è una puntata su Netflix dedicata nella docuserie Untold – con conseguente decisione (una delle tante prese a seguito del fattaccio) di inserire un dress code formale per arrivare ai palazzetti prima delle partite, l’armadio delle stelle Nba era quasi tutto Hip – Hop, canotte e jeans oversized, il tutto accompagnato dalle immancabili treccine e dallo slang del Bronx.
Un vero e proprio stile di vita che inevitabilmente veniva assorbito da chi quei campioni li vedeva ogni giorno davanti a un tubo catodico – i più fortunati davanti alle prime tv al plasma – e che provava in tutti i modi ad imitare. Fino a quattordici anni andavo con le repliche Champion dell’Nba a scuola, anche in inverno, vestendole sopra delle felpe grigie color pigiama che però facevano tanto rapper e giocatore di strada. Tale outfit diventava parte integrante, quasi elemento di gameplay, di quel piccolo capolavoro di cui parleremo tra poco.
C’erano una volta i videogiochi sul basket
I videogiochi erano (e per fortuna sono ancora) l’altra mia grande passione che riempiva, insieme alle suddette partite su Tele +, le vuote ore a cavallo tra la fine dei compiti e l’allenamento serale. Tuttavia, la conoscenza dell’offerta videoludica cestistica era ancora molto limitata: quando parlavo con i miei compagni di squadra, otto su dieci mi nominavano Nba Live, il Fifa del basket; il nono non aveva ancora una console mentre il decimo, quello che la sapeva lunga, Nba 2k3, quello, se vi ricordate, con Iverson in copertina.

Sì, ok, tutto bellissimo, Nba Live 2003 lo conosco a memoria, ho vinto quindici titoli costruendo la dinastia dei Denver Nuggets con Carmelo Anthony finalmente premiato MVP della Lega, e so persino come segnare da centrocampo. Altro non c’è? Un titolo che mi faccia sentire onnipotente come quando gioco a basket nelle ore di educazione fisica – in classe nessuno praticava il mio stesso sport – o addirittura come Vince Carter allo Slam Dunk Contest del 2000 e toccare il cielo, quello digitale ovviamente, ai bordi dello schermo della Tv? La risposta c’è e mi viene data dal figlio quattordicenne degli amici di famiglia, Il fratello maggiore che non ho mai avuto, che sa tutto e che gioca a basket da più anni di me. Nba Street Vol. 2, sequel del primo storico capitolo sviluppato da EA Sports Big, etichetta – dal breve periodo di vita – di Electronic Arts, che nei pochi anni di attività ha sfornato veri e propri cult come Fifa Street, SSX e Nfl Street. La simulazione alla Nba Live che incontra l’arcade delle sale giochi, arricchito dalla cultura underground americana.

A questo punto, si parte alla ricerca di Nba Street Vol. 2. Indosso il casco e mi siedo nel sedile posteriore della moto di papà, pronti a percorrere le ostiche vie di Roma con un unico obiettivo: trovare un negozio che venda un prodotto che si potrebbe definire quasi di nicchia, in un mercato anche piuttosto ristretto come quello italiano. Dopo diverse ore di traffico accompagnate da una colonna sonora di clacson capitolini, torniamo a casa a mani vuote ma con le pizze d’asporto in consegna entro qualche minuto, la consolazione per chi ci aveva creduto fino alla fine. La speranza però, come si è solito dire, è l’ultima a morire.
Ecco infatti entrare in scena, con una frase sorprendente, ai limiti della genialità, un nuovo personaggio, lo zio figo, sempre attento alle ultime novità tecnologiche, che propone una folle, per l’epoca, operazione di acquisto: “Facciamo un’asta su Ebay e lo compriamo, io ci so fare”. Va bene, buttiamoci, c’è uno store tedesco che lo vende. Fu uno scontro fino all’ultimo rialzo con il tassametro di internet che scorreva inesorabile ma alla fine, sudati neanche fossimo tornati da una corsa nella Death Valley, portiamo a casa la pagnotta. Certo, la paura per il mattone nella scatola (così si temeva dopo ogni transazione online quando Ebay non era ancora così tanto noto in Italia) era tangibile eppure, una decina di giorni dopo, eccomi a scartare il pacchetto: Nba Street Vol. 2, Playstation 2 con Michael Jordan, Doctor J. Julius Erving e un personaggio immaginario che sembrava uscito dalla serie tv Oz, sulla copertina.
La prima partita a Nba Street Vol. 2 non si scorda mai
Pete Rock & CL Smooth con la loro They Reminisce Over You (T.R.O.Y.) aprivano Nba Street Vol.2, un pezzo capace di entrarti subito nel cervello e che ancora oggi è una traccia immancabile nella mia playlist durante le fredde corse serali dopo una giornata di lavoro. La principale problematica da affrontare, pad alla mano, era la scelta dei giocatori con cui testare il “globetrotteriano” gameplay di Nba Street Vol. 2: creare una squadra di soli All Star “attuali” oppure pescare dal folto roster delle Leggende del passato, da Magic Johnson a Larry Bird, passando, ovviamente per Air Jordan. Scelgo il cuore: Kobe Bryant, Shaquille O’Neal e Jason Kidd a smistare palloni. Dall’altra parte invece un trio assortito probabilmente male ma d’altronde, nel gioco di Ea Sports Big non esistono regole, posizioni – Yao Ming la metteva da tre forse più di Ray Allen – o schemi tattici da rispettare: Latrell Sprewell, Baron Davis e Larry Bird.

La prima partita a Nba Street Vol. 2 mi ha talmente scioccato che dalla palla a due non sono più riuscito a staccarmi. Un circo, una festa cestistica fatta di infrazioni di passi, cross – over spacca caviglie, blocchi con gomiti larghi e lay – up con spin a 360 gradi che oggi possiamo ammirare solo osservando gli highlights di Ja Morant. Iniziò così un viaggio on the road nella modalità “Diventa una Leggenda” con il mio alter ego virtuale – la cui creazione ha richiesto almeno un’ora di editor del personaggio tra vestiario, capelli e tatuaggi – per diventare il Re del Playground, la Leggenda del Rucker Park. A fine estate (Nba Street Vol. 2 esordì sul mercato nell’aprile del 2003), mi chiedo ancora come abbia fatto la mia Playstation 2 a non fondersi dopo tutte quelle ore passate a conquistare le “arene” con le retine di metallo sparse in lungo e in largo per gli Stati Uniti.
Nba Street Vol. 2 è stato, per chi scrive, la perfetta rappresentazione di un’età in cui i pensieri sono pochi e l’immaginazione infinita. Una lettera d’amore, sbocciato al primo canestro, per quello sport meraviglioso che si chiama basket. La trasposizione videoludica di quelle battaglie al campetto che hai vissuto con altri tre scapestrati fuori forma mentre pensavi che forse, di lì a qualche anno, avresti fatto una comparsa nel prossimo He Got Game o, insieme a Woody Harrelson e Wesley Snipes, nel sequel di Chi Non Salta Bianco È (a proposito di film, avete visto tutti i candidati ai Golden Globes 2023?).
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