
One Piece Recensione: la serie tv Netflix dal manga di Eiichiro Oda
Mettiamo subito le cose in chiaro, e che nessuno si senta offeso per carità di Dio. Prima di approcciarsi alla nuova serie tv di One Piece prodotta da Netflix, in uscita da oggi 31 agosto in esclusiva sulla piattaforma di streaming e resa disponibile in anteprima per Freaking News nei giorni scorsi, chi scrive non conosceva nulla di One Piece, non aveva mai neanche tenuto in mano un singolo volume del manga originale di Eiichiro Oda e avrà visto si e no un paio di episodi dell’anime di Toei Animation durante la sua originale messa in onda italiana, risalente a decenni fa.
Pertanto, si può genuinamente affermare che, per il vostro affezionato critico di fiducia, il remake live-action di Netflix di One Piece sia stato il primo vero punto d’accesso al bizzarro mondo di pirati di gomma e clown dagli arti sbarazzini nato dalla folle mente di Eiichiro Oda. Anzi, di One Piece chi scrive ne sapeva talmente poco che solo adesso, mentre è impegnato a buttare giù queste parole per fornirvi una spassionata anteprima degli otto episodi della prima stagione di Netflix, ha rivisto con gli occhi della mente alcune immagini coloratissime di One Piece: Red, di cui vi avevamo parlato nell’articolo sulle uscite home-video di Plaion Pictures di marzo 2023.
Quindi ignorate del tutto il primo paragrafo perché a quanto pare mi ero già imbattuto in One Piece e qualcosa di questo mondo era già stato trasmesso alla mia attenzione (che nel frattempo lo abbia totalmente rimosso dovrebbe farvi capire quanto poco sia personalmente e sentimentalmente affezionato a questa saga). Ora però – e che qui nessuno si agiti: ci rivolgiamo ai fan più accaniti e agguerriti della storia dei manga e degli anime e dei fumetti da leggere da destra a sinistra – grazie a Netflix ho compreso il fascino di One Piece: non dico di aver iniziato ad amarla ma insomma, gli otto episodi li ho divorati uno dopo l’altro.
One Piece: il live-action di Netflix
Per quelli messi addirittura peggio di me e quindi totalmente ignari alle dinamiche al centro della storia creata da Eiichiro Oda – che mi informano essere la serie manga più venduta di sempre in Giappone, pensate un po’ – One Piece è un’avventura di mare che ha per protagonista Monkey D. Luffy (che io ricordavo soprannominato ‘Rubber’, o sbaglio?), un giovane che ha sempre sognato una vita di libertà: parte dal suo piccolo villaggio per affrontare un pericoloso viaggio alla ricerca di un leggendario tesoro, il ONE PIECE, con in tasca il sogno di diventare il Re dei Pirati.
La prima stagione, come detto composta da otto episodi, è tutta incentrata sulla formazione della ciurma di Luffy che, di puntata in puntata, farà la conoscenza di nuovi membri dell’equipaggio (Iñaki Godoy nei panni del capitano Monkey D. Luffy, Mackenyu in quelli di Roronoa Zoro, Emily Rudd in quelli di Nami, Jacob Romero in quelli di Usopp e Taz Skylar in quelli di Sanji) mentre insieme ai suoi nuovi amici perlustra ogni centimetro dei vasti mari inseguito tanto dai Marines (uno dei suoi obiettivi è quello di ottenere una grossa taglia sulla testa) quanto dai rivali pirati, alcuni dei quali decisamente più cattivi di lui (che si distingue per bontà d’animo e entusiasmo travolgente).

La solita vecchia Netflix
Purtroppo l’adattamento live-action di One Piece creato da Matt Owens e Steven Maeda non eccelle in fatto di qualità di messa in scena, accontentandosi di portare ‘nel vero’ la bizzarria di Oda senza provare ad usare la sua chiave distintiva (il live-action) per dire la sua nel campo che gli compete. Siamo alle solite vecchie usanze di Netflix, siamo nella media della media, siamo a Mercoledì di Jenna Ortega che fa scomparire quel poco di stile che era rimasto a Tim Burton dopo Dumbo e Alice in Wonderland, siamo nell’algoritmo dello streaming-style.
Non riesce una seconda volta il miracolo di The Sandman (che però era una produzione Warner Bros solo distribuita da Netflix); tutto appare schiacciato con gli sfondi sempre fuori fuoco per nasconderne l’artificiosità, guizzi o idee in grado di rivaleggiare con l’animazione e fornire una sua iniziativa neanche a pagarle. One Piece non ha segni distintivi immediatamente riconoscibili e visivamente coinvolgenti, anzi appare gustosamente uniformato all’ormai consolidata matrice netlifixiana, precisa e stolida, luminosa e agghindata, ma mai davvero personale.

Certo, come detto, mi ha conquistato, è spesso esilarante, pieno di quegli elementi eterogenei e capaci di attirare più tipi diversi di pubblico nell’inseguimento del record di visualizzazioni, e simpaticissimo nel suo spirito scanzonato al punto da arrivare quasi a farti sentire in colpa se ‘interrompi la riproduzione’, se smetti da seguire: ma il ‘seguire’ corrisponde pericolosamente al ‘vedere’, che sta all’opposto del guardare, più o meno sulle stesse coordinate che l’opera occupa nei confronti del prodotto.
One Piece non ha colpe in tal senso: è solo l’ultimo arrivato di uno slittamento di gusto del pubblico e di modus operandi dell’industria, e come già detto funziona alle sue proprie condizioni. Ma c’è ancora chi al guscio perfettamente lucido e pulitissimo e sicuro di buoni prodotti seriali vuoti continuerà a preferire la polpa spettacolare e imperfetta di opere cinematografiche coraggiose e ambiziose stile Ghost in the Shell di Rupert Sanders. Certo nessuno pretendeva la forza cinetica di Hideaki Anno, il migliore al mondo – forse insieme a Brad Bird e in parte a Guillermo Del Toro – quando si tratta di rendere in live-action la forza dell’animazione (qui trovate il nostro parere sul suo ultimo film Shin Kamen Rider) ma se One Piece rappresenta l’ennesimo passo di Hollywood verso il tanto agognato remake live-action di Akira, di strada da fare ne manca parecchia.

Per dire (che qualcosa di anime la so pure io): ce la ricordiamo tutti la prima inquadratura di Cowboy Bebop, vero? Quella discesa sinuosa con la quale la cinepresa si insinuava in un vicolo notturno e uggioso per cogliere, coi modi sghimbesci d’un noir d’altri tempi, il protagonista Spike Siegel fermo in un angolo a non fare nient’altro che gustarsi una sigaretta? Roba da fondazione di mitologie, roba da alzarsi sul divano e applaudire e rimanere con gli occhi incollati alla televisione, roba avanti sui tempi pure oggi per come trovava il punto di incontro più genuino possibile tra i modi orientali e quelli occidentali. Ecco Netflix ci aveva già provato nel campo del live-action proprio con Cowboy Bebop, uscito nel 2021 e cancellato nel giro di qualche mese. E in One Piece non c’è niente che sia migliore di Cowboy Bebop, la produzione sembra intercambiabile e in questi due anni i valori sono rimasti identici.
Che non vuol dire che non ci si può divertire, ma creare immagini è un’altra cosa.
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