
Pacifiction Recensione: un’opera rarefatta e inquietante
Cosa diceva il regista thailandese Apichatpong Weerasethakul in quel bellissimo documentario – spaccato di un mondo e di una cultura tutta, quella del cinema di Taiwan – che è Flowers of Taipei di Chinlin Hsieh? Che i film che ti fanno addormentare sono gli unici film in grado di trasportarti, consapevolmente, in un altro mondo, in un altro stato delle cose, in un’altra dimensione.
E sembrerebbe essere proprio questa l’intenzione di Pacifiction, nuovo capolavoro di Albert Serra, regista anti-genere che prosegue, con quest’opera rarefatta e inquietante sui pericoli del potere che rimane nell’ombra e – pensate un po’ – del nucleare in mano agli ambiziosi e ai derelitti della coscienza (Oppenheimer di Christopher Nolan), tutto un discorso sulla dissolvenza dei generi cinematografici che la sua filmografia sembra inseguire da anni (La Mort de Louis XIV, Liberté, ecc): un’opera che, pur rimanendo saldamente ancorata alla realtà terrena, sembra guardarla da uno stato più profondo, attraverso la patina di un mondo-altro, gli occhi dell’arrivo dell’oblio quando la coscienza sta precipitando via dalla veglia. Un film che sembra vivere in quel momento esatto quando la luce inizia a morire e arrivano le tenebre.
Pacifiction di Albert Serra: un capolavoro sommerso e rarefatto
Tra i sommergibili nucleari di Mission: Impossible 7 e le paure per l’atomica dell’imminente nuovo film nolaniano, collegamenti involontari con l’oggi cinematografico che non fanno che sottolineare la capacità che questo film ha di essere ogni cosa e arrivare dappertutto, Pacifiction racconta la ‘storia’ (tra virgolette perché di certo raccontare una storia non è il punto che interessa all’autore) di un Alto Commissario della Repubblica (interpretato da un gigantesco Benoît Magimel) stanziato nella Polinesia Francese (il film è girato sull’isola di Tahiti) e dei suoi legami personali e delle sue relazioni politiche e dei suoi affari privati con la fauna locale, tra presidenti corrottissimi e uomo di facciata, individui dall’identità incerta e informatori silenti.
Tuttavia, tra club notturni, tramonti arancioni che si fondono in albe violette, tra le onde anomale per patiti di surf e il vento che batte il verde frondeggiare degli alberi sugli sfondi delle lussuose abitazioni della creme dell’isola, forse sta succedendo qualcosa di oscuro: forse, si dice, si mormora, girano voci secondo cui, qualcuno sostiene, potrebbe anche darsi, chissà magari, circola un’idea che vorrebbe il governo intenzionato a riprendere i test nucleari al largo di quelle coste paradisiache, portandole all’inferno.

Immagino che Serra abbia visto Azor di Andrea Fontana, col quale condivide più di un aspetto (dall’ambientazione esotica e afosa ai completi eleganti, dal carattere ambiguo dei protagonisti alle operazioni misteriose discusse a tavolino ecc), ma, a differenza del disinnescato thriller spionistico argentino, Pacifiction non si spinge mai nei territori né del thriller né della spy-story, limitandosi ad osservarli da lontano (spesso con un binocolo, letteralmente: ci sarà anche una simpatica battuta su James Bond) e a scandagliare la loro ambiguità, la loro complessità e la loro stratificazione senza mai esplicitarla.
Come se si trattasse di questioni irraggiungibili per il suo protagonista – dandy riflessivo e chiacchierone molto più piccolo, in fondo, di quanto si mostra di fronte agli altri, che a modo suo agisce nel giusto o quantomeno ci prova ponendosi l’obiettivo di ‘accendere la luce e interrompere il sonno collettivo’ del mondo – Serra gli intrighi di palazzo e le loro devastanti conseguenze li nasconde tra le immagini, agli angoli del formato largo 2.35:1 e nelle graffiature della grana magicamente retrò che, ancora, conferisce al film, quel suo look trasognato e riportano alla mente le sequenze coloniali di Apocalypse Now Redux.
Ma c’è un modo, per raggiungere quella pacificazione tanto agognata, quando il male è ovunque? Forse meglio lasciarsi cullare della notte, forse meglio addormentarsi, dormire e lasciarsi trasportare via da una marea rosso fuoco inferno che sembra circondare ogni cosa.
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