
Space Gladiators Recensione: la dura vita di una patata spaziale
Già la vita di una patata spaziale è difficile, se poi si viene catturati e gettati nel pianeta-prigione di Tartarus tutto si complica. Trovare una via di fuga non è, come prevedibile, una passeggiata di salute. Mosche aliene, bambini modificati dalle radiazioni, trappole, “cacatori” e molto altro si frappongono tra noi e l’uscita in questo roguelite in 2D a scorrimento orizzontale, uscito nel 2021 su Steam e da poco approdato anche su Xbox, Switch e PlayStation
Space Gladiators recupera diverse prassi del genere (che abbiamo cercato di mappare attraverso i migliori giochi roguelike disponibili su Xbox Game Pass), a partire dalla permadeath e la mappa procedurale. Nella sequenza di stanze generata automaticamente da zero ogni volta che si ricomincia la partita non ci sono, però, solamente dei nemici da affrontare: c’è anche un’importante componente platform. E non solo isolata. Infatti, non ci sono solo stanze che solo un miracolato può attraversare indenne tra seghe rotanti, spine e cannoni. Tutti questi elementi facilmente convertibili in blasfemie possono apparire anche in stanze con nemici, nelle arene a conclusione di un piano o dai boss. Scendiamo, allora, nello specifico di questo gioco pubblicato da Seaven Studio e sviluppato in solitaria da Thomas Gervraud, aka Blobfish.
In fuga da Tartarus
Sul fondo della prigione, ci troviamo davanti subito a tre oggetti: un trattato, un oggetto offensivo e uno difensivo. Il primo ci dona un bonus e un malus (a volte, il gioco non vale la candela e capita di lasciarlo in terra). Gli oggetti, invece, saranno i nostri migliori amici, insieme a farfalle, vermi e lumachine che ricaricheranno la barra dell’energia necessaria a utilizzarli. Non siamo, comunque, dalle parti dell’ermetismo di The Binding of Isaac, non dovremo dar adito al nostro talento sopito da investigatori per capire l’effetto di un oggetto. Tutto ci viene immediatamente rivelato, consentendo calcoli e strategia a seconda delle caratteristiche del personaggio più che sul nostro stile di gioco. Infatti, sono nove le caratteristiche che determinano la forza della nostra patata spaziale, influendo anche sull’efficacia del singolo oggetto.
Può quindi cominciare la nostra risalita, scegliendo il percorso che più ci confà, preferendo di volta in volta una progressione più lineare o a zigzag, alla ricerca di risorse ma con il rischio anche di sperperarle. Infatti, la prigione di Space Gladiators non è per niente clemente e le cure sono merce rara. Nemici (50 diversi, tutti disegnati a mano) e trappole sono sempre pronte a prosciugarci armatura, vita e, a volte, pazienza. Quando le creature che popolano una stanza sono molte, infatti, lo schermo si riempie tanto da generare una confusione dalla quale ci può salvare solo uno scatto provvidenziale. Basta, però, abbandonarsi per un attimo all’avidità e la partita è compromessa.

Uscendo acciaccati da una stanza, la speranza è che la successiva non sia ostile. Ci sono, infatti, numerose stanze a sorpresa dal contenuto imprevedibile, ma anche stanze con mercanti, iniezioni potenzianti di diverso genere e… npc dalle richieste strane. “Vuoi vedere qualcosa di fighissimo?”, ci può chiedere una patata bodybuilder, mentre una incappucciata potrebbe proporre un rituale di magia nera. Bisognerebbe, però, tenere in mente gli avvertimenti dei nostri nonni e dei nostri genitori sull’accettare caramelle dagli sconosciuti… Chissà che non si riveli un boccone avvelenato capace di fottere completamente la già complicata bossfight di fine zona. Non siamo nei Souls, le linee di dialogo non cambiano ogni volta che li incontriamo. Tutt’altro.
Patate e pesci palla
Insomma, per il giocatore Space Gladiators può risultare una sfida. Deve esserlo stato anche lo sviluppo del gioco per il suo creatore Thomas Gervraud, in arte Blobfish. In apertura del gioco c’è solo il suo nome, oltre che quelli di Adrien Gervraud (“con l’aiuto di”) e Aron “Outer” Arguello alle musiche (un’elettronica aggressiva che sottovaluta forse un po’ troppo l’inevitabile ripetizione). Il gioco è il frutto di un quasi one man army che non è di certo un caso isolato (ne ricordiamo uno su tutti, l’incredibile Undertale di Toby Fox), ma anzi una corrente fondamentale del panorama contemporaneo.
A rendere ancor più interessante il caso di Space Gladiators è la consapevolezza con la quale Gervraud traccia e ragiona sul suo stesso processo. Sul suo sito, si possono trovare post nei quali tiene traccia della profittabilità del gioco, con tanto di video che illustra le diverse spese, o anche la spiegazione del passaggio da un engine a un altro. Su Reddit riporta anche ogni singolo passaggio che lo ha portato a realizzare Lost Potato, recente roguelite che prosegue la saga del tubero.

Uno degli articoli più interessanti e ricchi è, tornando a Space Gladiators, quello che raccoglie 68 idee che sono germinate durante lo sviluppo di quest’ultimo, durato due anni. Gli argomenti spaziano dal marketing, ai consigli per solo developers e piccole accortezze utili per chiunque lavori in ambito creativo. Per chiudere questa recensione, allora, mutuiamo un punto che ci appare molto importante: il tuo videogioco non deve essere per forza un capolavoro. “La gente può andare oltre problemi di bilanciamento, NPC brutti e animazioni rigide se riescono ad apprezzare il loop alla base del gioco“. No, Space Gladiators non è un capolavoro, i difetti non mancano. Eppure, il gioco diverte nel suo essere piccolo, ma di certo non insignificante, con un cuore che batte in ogni pixel. Alla faccia del perfezionismo.
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