
Succession, con ‘Connor’s Wedding’ HBO fa di nuovo la storia
Con l’episodio 3 della quarta ed ultima stagione di Succession, intitolato “Connor’s Wedding”, il network HBO segna un’altra pagina nei libri di storia del piccolo schermo, mandando in onda una delle puntate televisive più belle di sempre.
Come ‘Ozymandias’ di Breaking Bad, come ‘International Assassin’ di The Leftovers e come il finale di Better Call Saul, ‘Connor’s Wedding’ – geniale titolo totalmente fuorviante, che maledice per sempre i matrimoni targati HBO dopo l’episodio ‘Le piogge di Castamere’ di Game of Thrones, puntata comunemente nota come quella delle ‘Le nozze rosse’ – spiazza e stordisce lo spettatore limitandosi, ad un livello narrativo, a presentare il conto di ciò che la serie tv su cui ci si è sintonizzati ha promesso fin dall’inizio. Grazie a Dio esistono ancora episodi come questo, che sembrano fatti a posta per farsi beffe della frenesia che circonda il concetto di spoiler.
Del resto, se l’epilogo di Walter White è chiaro fin dalla prima inquadratura del primo episodio della prima stagione, come dovrà mai risolversi una serie intitolata ‘Succession’?
Connor’s Wedding è un’ora di televisione perfetta
Circa sedici anni dopo, HBO sembra voler rifare il finale de I Soprano, ribaltandone le implicazioni e trasformandolo.
‘Connor’s Wedding’, che di fatto un finale non lo è per nulla (anzi casomai è il vero inizio della serie, o per lo meno il turning point verso cui Succession si è sempre diretta, tant’è che arriva solo al terzo episodio di una stagione finale che sarà composta da dieci puntate) è il controcampo perfetto dei criptici minuti conclusivi della storia di Tony Soprano: nella serie creata da Jesse Armstrong e prodotta da Will Ferrell e Adam McKay, il mistero non esiste perché tutto è sotto i riflettori, tutto è pubblico, tutto è live, ogni cosa viene data in pasto alla stampa e allo sguardo dello spettatore nulla viene celato.
Come se l’ultima cena di James Gandolfini alla fine di “Made in America” venisse trasformata in una cronaca minuto per minuto morbosa e ossessiva e per questo totale, oggettiva, che non ammette repliche: solo l’inesorabile scorrere della vita, a valanga e senza preavviso.

Attraverso quello che a chi scrive è sembrato il miglior uso di un cellulare di sempre insieme a quelli di Personal Shopper di Olivier Assayas e Decision to Leave di Park Chan-wook, tutta la puntata è giocata su due piani spaziali in collegamento costante tra loro (appunto la sensazione di ‘vita in diretta’ che lo show ha sempre cercato di conferire al suo incedere narrativo) e la decisione aggressiva e spregiudicata di lasciare sempre fuori campo il protagonista della serie, il mitico Logan Roy interpretato da Brian Cox, la cui aurea mitologica sembra trascendere nel momento esatto in cui la sua fisicità scompare dallo schermo.
Come sempre in Succession, poi, il lato umano dei personaggi serve a far risaltare i loro mostruosi difetti: in questo caso la tragedia personale diventa, a mano a mano che la puntata procede, un altro problema di relazioni pubbliche da risolvere, e la scrittura di Jesse Armstrong e la regia di Mike Mylod (quello di The Menu su Disney+, che vi avevamo consigliato qualche tempo fa in podcast), insieme alle performance del cast, hanno del miracoloso, per come riescono ad inquadrare le reazioni dei protagonisti di fronte all’evento cataclismatico destinato ad investire qualsiasi famiglia. Anche le più potenti del mondo, anche i Roy.
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