
The Batman, un noir hard-boiled sul punto di vista e gli immaginari
The Batman scritto e diretto da Matt Reeves e interpretato da Robert Pattinson e Zoe Kravitz è un film sul vedere, sul punto di vista e sugli immaginari mascherati.
Nel mettere in scena la sua Gotham City e il suo Batman, Matt Reeves – autore di Cloverfield e gli ultimi, esorbitanti capitoli della saga de Il pianeta delle scimmie – pesca a piene mani dai maggiori testi noir, polizieschi e hard-boiled degli anni ’70 e ’80, spingendo il pubblico a rivedere situazioni, archetipi e stilemi del genere – da Il braccio violento della legge a Chinatown, da Una squillo per l’ispettore Klute a Vivere e morire a Las Vegas, da La conversazione a Blow Out, da Seven a Zodiac – proprio come Bruce Wayne costringe sé stesso a rivedere ossessivamente le scene delle scene crimine che registra nottetempo (attraverso gli occhi, attraverso lo sguardo) tramite l’utilizzo di speciali lenti a contatto.
Sembra quasi di rivedere il Deckard di Harrison Ford nel Blade Runner di Ridley Scott, pietra miliare del detective notturno a caccia nei vicoli bui di metropoli eternamente piovose, con il signor Wayne di Robert Pattinson che si forza – e di conseguenza forza lo spettatore – a rientrare nelle immagini che studia. Proprio come Deckard, l’eterno non-uomo, che tramite la tecnologia nella solitudine blues del suo appartamento riusciva a zoomare nelle fotografie fino a entrarci dentro, in quella scena magistrale di quel magistrale film-emblema di un modo di concepire non solo il cinema ma anche il mondo.

In tal senso in The Batman l’atto del guardare, del rivedere le immagini, trasforma il protagonista-detective in uno spettatore di sé stesso e allo stesso tempo infila lo spettatore all’interno del costume del supereroe-mai-così-poco-super (ma anche in quello di Catwoman, ad un certo punto, in una sequenza in cui con una battuta sopraffina il film sembra andare a dire tutto ciò che c’è da dire sul tema del ‘gender-swap’): del resto il cinema di Matt Reeves è sempre stato un cinema dentro le immagini, a partire dal found-footage Cloverfield per arrivare ai rivoluzionari ritocchi di mo-cap dei film de Il pianeta delle scimmie, fin dentro lo stesso The Batman, che si apre non casualmente con una soggettiva alla Coppola (provate a mettere a confronto i primi secondi del film DC con La conversazione).
Il Batman di Matt Reeves
Ampliando il discorso all’universo cinematografico di Batman, l’approccio di Reeves è opposto al michaelmanniano Il cavaliere oscuro di Christopher Nolan: laddove il Bruce Wayne di Christian Bale riempiva Gotham di telecamere-sensori figlie dell’America post-11 settembre per arrivare a vedere tutto, per arrivare ovunque e alla videosorveglianza di ogni cosa, quello intimo e dilaniato di Robert Pattinson (che si fa chiamare ‘Vendetta’, a rimarcare il bisogno personale di indossare la maschera, dove invece il Batman ideologico nolaniano si prefissava di diventare un simbolo ‘senza limiti’) torna infinite volte nel proprio punto di vista, chiudendosi ancora di più e allontanandosi maggiormente da quello degli altri.
La quasi totale assenza di profondità di campo sembra chiudere le scene in sé stesse, sembra opprimere lo sguardo, in un pensiero davvero ‘autoriale’ sull’immagine che non si era mai visto a questi livelli blockbusterosi: il senso della scelta fotografica del caravaggesco dop Greig Fraser arriva a simboleggiare la chiusura di una mente ottenebrata, trasforma in immagine un modo offuscato, spento, annichilito di vedere il mondo.


“Sono Vendetta”
In questo film, in questa Gotham, in questo Batman, Matt Reeves rifonda i principi su cui si basano i cinecomic trovando un equilibrio tra la maschera e il cinema, tra l’icona e l’immagine, venerando le sue fonti di ispirazione mentre le utilizza per aprirsi una strada nuova. Il cinema che dal buio trova la sua luce: guardate il nero dal quale emerge il protagonista nella sua scena d’apertura, guardate come da quel momento sia la luce a guidarlo – fisicamente, mentalmente, emotivamente; guardate il non-detto, come viene usato per ricostruire e rimodellare un personaggio che pensavamo di avere compreso, ma che nessuno aveva compreso meglio di Matt Reeves e Robert Pattinson; guardate quanto ciò che è già accaduto, il passato, tanto per i personaggi quanto per gli spettatori, abbia un peso sull’evolversi del presente.
E guardate l’ultima scena, il romanticismo che racchiude, cosa implica questo romanticismo e, senza bisogno di parole, quali immaginari cinematografici riesce ad evocare. Prima della fine, prima della luce.
Il miglior noir possibile non è quello che si lancia a capofitto nell’oscurità, ma quello che dall’oscurità prova ad emergere: non il desiderio del buio, ma lo struggersi di nostalgia per la luce. E The Batman in questo senso è il miglior noir possibile, un noir alla ricerca della luce dentro cui si muove la più grande storia d’amore mai raccontata dai cinecomics.


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