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The Fabelmans recensione

The Fabelmans: la recensione del nuovo film di Steven Spielberg

Steven Spielberg racconta la sua infanzia e la sua passione per il cinema in The Fabelmans: siamo di fronte a un capolavoro.

Steven Spielberg racconta la sua infanzia e la sua passione per il cinema in The Fabelmans: siamo di fronte a un capolavoro.

Praticamente un anno dopo il trionfale remake di West Side Story, e nella settimana del grande ritorno di un maestro del cinema come James Cameron con Avatar: La via dell’acqua, (qui la nostra recensione di Avatar: La via dell’acqua), Il Maestro del Cinema per eccellenza Steven Spielberg racconta per la prima volta se stesso, la sua infanzia e il suo amore per i film e per la settima arte nel semi-autobiografico The Fabelmans, in arrivo in Italia da domani 17 dicembre in anteprima pubblica nei migliori cinema e poi dal 22 dicembre in tutte le sale dei nostri circuiti.

The Fabelmans

Già stra-nominato tra le candidature dei Golden Globes 2023 e tra i front-runner degli Oscar 2023, The Fabelmans rappresenta un unicum nel vasto panorama del cinema spielberghiano della meraviglia: se l’autore, con le sue opere, ha cambiato per sempre il modo di concepire i film a Hollywood segnando l’immaginario cinematografico dagli anni ’80 in poi per la sua commistione tra ordinario e straordinario, tra l’avventura e il familiare, con The Fabelmans Spielberg per la prima volta fa il contrario e ci racconta come il cinema ha cambiato lui durante gli anni più importanti della sua infanzia e adolescenza.

E sebbene, come in Avatar: La via dell’acqua, al centro del racconto ci sia un’intera famiglia, con i suoi problemi interni (i continui traslochi dovuti alla carriera del padre ingegnere, la fragilità della madre) ed esterni (l’antisemitismo, uno zio che proprio zio non è), il cuore del film dal minuto zero è la forza delle immagini e la capacità del cinema di immortalarle, manipolarle, farle rivivere: un film che si apre con Il più grande spettacolo del mondo di Cecil B. DeMille e che profeticamente fa apparire e tornare il poster de L’uomo che uccise Liberty Valance (il ‘più grande regista di tutti i tempi’ John Ford appare in un cameo interpretato nientemeno che da David Lynch, un altro gigante del cinema che Spielberg reinventa attore dopo il François Truffaut del capolavoro spielberghiano Incontri ravvicinati), un film in cui le immagini vengono proiettate dappertutto (dagli sgabuzzini ai palmi delle mani, addirittura, in una delle sequenze più belle mai viste sul racconto di una passione), un film soprattutto in cui il cinema non è solo un’espressione ma un mezzo per capire il mondo, le sue verità e le sue bugie: altro che il mellifluo Belfast di Kenneth Branagh.

Guardando il cinema e le sue immagini si può arrivare a capire gli altri e soprattutto se stessi: non è detto che ciò che scopriremo ci piacerà (questa cosa nel film accade due volte, ed entrambe le volte la reazione suscitata dalle immagini sarà contraria ad esse, come di rigetto) ma questo perché il cinema dice le sue verità e ha un modo tutto suo di comunicarle. E questa è una verità che nessuno conosce meglio di Steven Spielberg.

Voto: 4,5/5

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Matteo Regoli

critica i film, poi gli chiede scusa si occupa di cinema, e ne è costantemente occupato è convinto che nello schermo, a contare davvero, siano le immagini porta avanti con poca costanza Fatti di Cinema, blog personale

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