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The Last of Us Recensione

The Last of Us Recensione: la nuova Serie Tv capolavoro di HBO

The Last of Us di HBO è una nuova pietra miliare sia per il piccolo schermo che per l'eredità degli adattamenti dai videogame.

Guardare The Last of Us, la nuova serie tv HBO firmata da Craig Mazin e Neil Druckmann e ispirata all’omonimo videogame Playstation creato e diretto dallo stesso Druckmann, non è solo seguire l’intima e cruda odissea dei due già iconici protagonisti, Joel e Ellie, qui coi volti delle ex star di Game of Thrones Pedro Pascal e Bella Ramsey: è soprattutto compiere un viaggio attraverso la cultura pop di tutto il XXI secolo per arrivare dove non eravamo mai arrivati prima.

HBO non è nuova a queste imprese: qualche anno fa, sempre dopo una visione in anteprima gentilmente concessa da HBO e Sky, avevo assegnato il massimo dei voti (10) a Watchmen di Damon Lindelof, sequel spirituale della graphic novel di Alan Moore ma anche continuazione ideologica di The Leftovers, altro successo passato del network dallo stesso autore. Mi fu chiesto, in fase di editing, se ne ero davvero sicuro: la perfezione non esiste, del resto (e i voti non pretendono di annunciarla, al massimo di ‘scovarla’ o ‘suggerirla’) e alla fine, nonostante le mie assicurazioni sul fatto di trovarci di fronte ad una serie tv molto speciale, la redazione decise di abbassare quel numero a 9,5.

Qualche mese dopo Watchmen vinse agli Emmy Awards il titolo di miglior serie drammatica dell’anno, ancora oggi il premio più importante in assoluto vinto a Hollywood da una storia di supereroi (escludendo i due Oscar agli attori Heath Ledger e Joaquin Phoenix per le performance nei panni di Joker).

Ora, senza sfera di cristallo, non posso sapere se e quanti premi vincerà The Last of Us: però, come nel caso di Watchmen, più proseguivo nella visione delle nove puntate basate sul primo capitolo della saga di videogame di Naughty Dog (anche Watchmen era composta da nove episodi, tra l’altro) più mi convincevo di essere davanti a qualcosa che avrebbe lasciato il segno. Nel mondo della tv, negli adattamenti dai videogame, nel nostro sguardo.

https://www.youtube.com/watch?v=h9RokZaHazk

Questo perché, come anticipato in apertura, guardare The Last of Us è compiere un’odissea attraverso territori già esplorati, colonizzati, per vederli nuovi: a fare la differenza non è tanto il livello di dettaglio con cui è ricostruita l’America post-apocalittica immaginata da Druckmann (che da director del videogame compie il balzo in tv scrivendo tutti gli episodi insieme a Mazin e dirigendo personalmente la puntata numero due, affiancandosi ad un team di registi che include anche Jeremy Webb, Ali Abbasi e lo stesso Mazin) quanto l’intima profondità con la quale la messa in scena da spazio ai protagonisti.

L’uso della camera a mano è incessante, ai limiti del documentario, e arriva a creare quasi un contatto diretto tra i personaggi e il nostro sguardo, enfatizzando le scene concitate (poche, centellinate, l’uso dell’azione è ridotto all’osso) e rimarcando le prove degli attori nei momenti di dramma (tantissimi, neanche a dirlo): raramente in tv il punto di vista dello spettatore è stato tenuto così in considerazione per permettergli di entrare nel mondo al di là dello schermo, né tanto meno un approccio così sofisticato era mai stato pensato per l’adattamento di un videogame tra televisione e cinema.

Un mondo enorme reso piccolo e intimo

E a proposito di cinema: il coraggio di The Last of Us sta tutto nel saper affrontare le sue fonti di ispirazione (tantissime, da Cormac McCarthy a John Hillcoat, da Non è un paese per vecchi a The Road, da La guerra dei mondi a A quiet place) e anche le numerose opere nate, paradossalmente, dal successo del videogame originale (Logan di James Mangold, giusto per citare solo l’esempio più clamoroso) uscendo da un confronto numericamente impari con una dignità tutta propria.

The Last of Us Recensione

Il suo animo post-western ha un calore autentico, che arde dalle metropoli deserte alle foreste innevate, e stabilisce un’atmosfera tanto brutale quanto immediatamente credibile, coi sentimenti dei protagonisti presenti, veri, vibranti, eppure sepolti, nascosti, tenuti lontani dalle maschere esterne. The Last of Us è Modern Times di Bob Dylan, è ‘Nettie Moore’ ed è ‘Ain’t Talkin’, ma messo in scena. L’effetto soap-opera che infiacchisce The Walking Dead qui viene scongiurato dalla focalizzarsi sul racconto dei personaggi, non tanto della loro avventura (e la vicinanza della cinepresa cui si accennava prima rende impossibile quella dispersione che ha penalizzato lo show AMC).

L’effetto cine-game, o per meglio dire la ‘maledizione’ del cine-game, quella tendenza che ha sempre reso debolissimi se non risibili gli adattamenti dei videogame al cinema o alla televisione, qui viene scongiurata da una produzione finalmente conscia delle potenzialità dell’opera adattata: il più cinematografico dei videogame che trova il suo vero respiro in televisione. In questa serie si illumina un percorso attraverso e lungo i sentieri della cultura dell’intrattenimento degli ultimi dieci anni, un percorso circolare che fa il giro completo e si compie.

Così, episodio dopo episodio, sequenza dopo sequenza, scena dopo scena, diventa sempre più chiaro quanto The Last of Us non sia tanto una storia sulla morte del mondo quanto il racconto della nascita dell’amore in un mondo in cui non è più possibile amare. E, allo stesso modo, quello che più colpisce e rimane impresso non lo si ritrova nell’immaginazione del futuro apocalittico, ma nel ricordo di ciò che quel futuro ha portato via.

Insomma, dopo che Copenhagen Cowboy di Nicolas Winding Refn si è già assicurato un posto nella nostra top five del 2023 per quanto riguarda le miniserie, difficilmente il resto dell’anno ci presenterà un nuovo show migliore di quello firmato da Craig Mazin e Neil Druckmann: il nostro articolo sui videogiochi, film e serie tv più attesi dell’anno si sta dimostrando profetico.

Voto: 5/5

The Last of Us andrà in onda dal 16 gennaio in Italia, in esclusiva su Sky e in streaming solo su NOW. Seguiteci su Facebook,  Instagram ma soprattutto su Spotify

Matteo Regoli

critica i film, poi gli chiede scusa si occupa di cinema, e ne è costantemente occupato è convinto che nello schermo, a contare davvero, siano le immagini porta avanti con poca costanza Fatti di Cinema, blog personale

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