
The Stranger di Thomas M. Wright – recensione del film con Joel Edgerton
Grazie al Torino Film Festival è passato in Italia un film della madonna, The Stranger è un thriller sfuggente targato Netflix che però da noi arriverà prossimamente per BIM Distribuzione
Che mondo, l’Australia. Un altro mondo, un mondo altro. Un cinema altro, un altro mo(n)do di concepirlo, il cinema, le immagini, i suoni: è in Australia che andava a finire il girovago Wim Wenders col suo capolavoro on the road Fino alla fine del mondo (un titolo che spiega se stesso), è in Australia che Damon Lindelof portava i protagonisti di The Leftovers per spingerli a (non) comprendere i propri misteri e (non) risolvere i propri dilemmi, ed è sempre dall’Australia che arriva l’autore del miglior film del 2022, Blonde di Andrew Dominik (la cui protagonista, Ana de Armas, si è appena beccata una nomination ai Golden Globes 2023).
E da questo altro mondo, da questo altro cinema, un cinema straordinariamente in fermento e sommerso ardito vitale e visionario, che solo negli ultimi anni ci ha dato Blaze, ci ha dato il dittico di Ivan Sen dei neo-western Mistery Road e Goldstone, ci ha dato Animal Kingdom, ci ha dato The Rover, ci ha dato The Proposition, ci ha dato Nitram, adesso porta sul piatto un altro dei migliori titoli dell’anno, The Stranger di Thomas M. Wright.
Con protagonisti Joel Edgerton e Sean Harris, corpi chiusi negli spazi artificiali (appartamenti, corridoi di hotel, automobili) che si muovono aperti nell’outback sconfinato fino a confondersi uno dentro l’altro, a perdersi e mescolarsi nei volti e nelle barbe, questo film è un film che rasenta la perfezione, a partire da un’idea di messa in scena che ristabilisce l’egemonia delle immagini sulla storia.

Raramente un thriller investigativo è stato così sfuggente, così schivo, così sottile, tutto basato com’è, questo The Stranger, sul rapporto tra ciò che si vede e ciò che si ascolta: all’inizio ci viene detto che ciò che stiamo per vedere è basato su una storia vera, ma nessuna storia è mai davvero vera perché è sempre un racconto, una rappresentazione del vero. E anche se guardando il film si può pensare a Clint Eastwood, o a Dennis Lehane, o a Ben Affleck, o a Cary Fukunaga, o perfino a Michael Mann, per le ricostruzione minuziosa dei meccanismi della professione illustrata, la somiglianza rimane in superficie perché The Stranger in profondità non assomiglia a nient’altro: quando mai la costruzione della tensione in un thriller è stata montata a livelli così implacabili senza l’utilizzo del sangue, della violenza, del macabro? Quando mai l’incedere narrativo è stato così rarefatto nelle sue continue ellissi?
Chi lo sa: intanto segnatevelo, però, anzi lo segniamo noi per voi. E’ stato a Cannes, è passato per il Torino Film Festival qualche settimana fa ed è distribuito da Netflix su scala globale…tranne che in Italia, dove uscirà per BIM Distribuzione in qualche punto non meglio precisato del futuro. Quanto è sfuggente questo The Stranger, perfino oltre lo schermo.
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