
The Witcher Stagione 3 Recensione: l’ultima volta di Henry Cavill su Netflix
Io odio The Witcher: iniziamo così? Iniziamo così.
Da qualche anno a questa parte non ho incontrato nulla, tra cinema e serie tv, che sia stata capace di annichilirmi come la serie fantasy di Netflix sviluppata dalla showrunner e produttrice esecutiva Lauren Schmidt Hissrich partendo dai famosi romanzi dello scrittore polacco Andrzej Sapkowski, già fonte di ispirazione per la leggendaria saga di videogame creati da CD Project RED. Fatta eccezione per il casting molto azzeccato di Henry Cavill, lui stesso fan dei libri e dei videogame e visivamente perfetto nel ruolo del cacciatore di mostri Geralt di Rivia, fin dalla messa in onda della prima e confusionaria stagione del 2019, The Witcher ha affondato nei miei occhi una serie di colpi bassi visivi di fronte ai quali non ho più difese.
La messa in scena netflixiana ormai standardizzata e banalissima me la rende davvero poco interessante da guardare e le cose non sono certo migliorate negli anni: la popolarità sempre crescente (addirittura virale, all’inizio, con quell’orribile canzone sul donare i soldi al tuo witcher che per carità di Dio) non ha fatto che spingere gli autori ad adagiarsi sugli allori senza mai osare, senza mai mettersi alla prova, senza mai tentare di mostrarci una qualsivoglia idea visiva che fosse in grado di distinguere la serie da tutto il resto del mediocre fantasy da catena di montaggio del mondo streaming, mentre il Supremo Algoritmo produceva addirittura una serie prequel spin-off (The Witcher: Blood Origin) che non ha visto nessuno e che era perfino peggiore della serie madre.
E se vi aspettate un ‘ma’ che arrivi a ribaltare il discorso per offrire un’antitesi alla tesi principale, mettetevi l’anima in pace: tesi, antitesi e sintesi qui sono una cosa sola, monotona come The Witcher.
Mezzo soldo al tuo witcher
Composta da altri 8 episodi e suddivisa in due parti (la prima parte, con le prime cinque puntate, debutta oggi 29 giugno proprio a scadenza d’embargo, mentre la seconda arriverà il 27 luglio con gli ultimi 3 episodi), la stagione 3 di The Witcher ha fatto parlare di sé soprattutto per una cosa, l’improvviso e inaspettato addio di Henry Cavill, che alla fine di questo ciclo di episodi lascerà il ruolo al collega Liam Hemsworth in vista delle prossime stagioni (sigh).
La storia segreta della diatriba che ha spinto la star ad abbandonare il progetto potrebbe certamente essere più affascinante di quella narrata nella serie e forse, meriterebbe un adattamento a sé stante, ma considerato che probabilmente la verità non verrà mai a galla dobbiamo accontentarci delle sceneggiature all’acqua di rose di Lauren Schmidt Hissrich: mentre monarchi, maghi e bestie del Continente competono per catturarla, Geralt e Yennefer conducono Ciri a nascondersi nella fortezza protetta di Aretuza, dove la maga spera di scoprire di più sui poteri non sfruttati della ragazza. Invece, il trio capisce presto di essere sbarcato in un campo di battaglia di corruzione politica, magia oscura e tradimenti.
House of the Dragon, fatti da parte.

Non tutto merita un adattamento
Con tanta ambizione ma pochissime idee sul come doverla metterla in scena, per quanto si sforzi The Witcher non riesce mai a non sembrare abbozzata, confusa e poco coerente, con cadute di stile a livello visivo davvero pacchiane e una scrittura nebulosa e vaga che dà molto per scontato, riempie di parole personaggi-spieganti che spuntano alla bisogna, e che dietro a un’idea potenzialmente interessante – rifarsi ai modelli del fantasy classico pre-Game of Thrones per creare un affresco più ampio – nasconde una pochezza terribile.
Didascalica, lacunosa, totalmente ignara di come si mostri sullo schermo il passaggio del tempo e mai davvero a fuoco (emblematici i numerosi tentativi di virata verso l’horror, che non funzionano mai) ha il solo merito di ricordarci che non basta una buona storia per far funzionare un adattamento: pur arrivando da un grande videogioco, The Last of Us di HBO ha trovato la sua quadra e le sue atmosfere per lasciare il segno sul piccolo schermo. Il The Witcher di Netflix, invece, mostra al fianco ad un’assenza di visione e di immaginario, schiacciato sotto il peso di una saga letteraria distante anni luce sul quale, probabilmente, il mezzo videogame ha già detto tutto ciò che poteva essere detto.
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