
Tremila anni di attesa: recensione del fantasy di George Miller
La produzione di George Miller lontana dall’universo narrativo di Mad Max è sempre stata altrettanto importante per il discorso dell’autore sul cinema e sull’intrattenimento, e nel bel mezzo delle riprese di Furiosa, prequel del capolavoro Mad Max: Fury Road che arriverà nel 2024 con Anya-Taylor Joy nel ruolo iconico che fu di Charlize Theron, il nuovo fantasy originale Tremila anni di attesa si pone come esaltazione di questa verità. E di questo desiderio.
Atteso (quasi) per davvero per tremila anni (le riprese sono iniziate nel 2020, l’esordio è avvenuto a Cannes nel 2022, da noi arriva solo in questi giorni e pure saltando il passaggio nelle sale, in home-video per Eagle Pictures edito nei formati DVD, Blu-ray e 4K Ultra HD dal 21 giugno), Tremila anni di attesa è un film sul potere della creazione e dell’immaginazione con protagonista il Premio Oscar Tilda Swinton nei panni Alithea Binnie, un’accademica che si presenta come ‘narratologa’ e che, mentre si trova a Istanbul, incontra un Djinn, un Genio (Idris Elba), che le propone di esaudire tre suoi desideri in cambio della libertà.
Ma Alithea è fin troppo colta per non sapere che nelle fiabe, i sogni non vengono mai realmente esauditi e, deciso a convincerla, il Genio inizia a raccontarle il suo passato straordinario e, sedotta dalla sua storia, Alithea finisce per formulare il più sorprendente dei desideri…
Tremila anni di forme del cinema
Quel ‘longing’ citato nel titolo originale (Three thousand years of longing), quel desiderio lungo tremila anni, è un desiderio non solo d’amore, ma soprattutto della narrazione e della passione che le storie possono racchiudere o ispirare: della storia della protagonista Alithea, narratologa studiosa di storie e di miti che ha escluso dalla sua quotidianità ogni forma di desiderio in nome di un’orgogliosa autosufficienza, e che finirà con l’innamorarsi di un genio della lampada, Miller si serve per parlare del più grande desiderio che si annida nel cuore dell’umanità, quello della narrazione, recitata ed ascoltata, che attraverso di lui non può che assumere le forme del cinema.
Non a caso la protagonista, giunta a Istanbul, sarà sistemata nella suite di Agatha Christie del Pera Palace Hotel (dove la scrittrice ha realizzato Assassinio sul Nilo, precisa il film, a ribadire la sua natura di ‘storia delle storie’) e non a caso gran parte della narrazione, che procederà per accumulo, avrà luogo in quella stanza, come un kammerspiel ondivago sulle rotte del fantasy.

Il djinn di Idris Elba, che brama la libertà, di fronte ad una donna senza desideri (e che, da narratologa, conosce i pericoli delle storie sui desideri, spesso parabole di ammonimento) reagirà con tre storie della sua lunghissima vita, aprendosi a lei e via via anche agli spettatori. E il film stesso si aprirà con lui, seguendo il peregrinare delle sue parole, e mettendole in scena in un diluvio di idee visive mai meno che geniali e che riempiono ogni immagine con un livello di dettaglio da horror vacui.
C’è una libertà espressiva, un’energia cinetica, un’intensità da corto-mediometraggio nelle tre favole che costituiscono il cuore del film, sempre così diverse tra loro, da rendere Tremila anni di attesa un quasi-portmanteau movie capace di ingabbiare il suo spirito selvaggio in una cornice barocca come un genio in una lampada, e per questo un’opera da venerare come un animale raro in via d’estinzione.
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