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Tutta la luce che non vediamo Recensione

Tutta la luce che non vediamo – Recensione della Serie TV Netflix

Abbiamo visto in anteprima Tutta la luce che non vediamo, nuova ambiziosa serie tv di Netflix con Mark Ruffalo: la recensione.

Questione di approccio all’affresco storico: mentre Apple TV+ concede oltre 200 milioni di dollari di budget a Martin Scorsese per raccontare la guerra segreta tra indiani ricchi e bianchi avidi e morti di fame nelle tre ore e mezza del kolossal funebre e anti-climatico Killers of the Flower Moon (qui la nostra recensione di Killers of the Flower Moon), la rivale piattaforma di streaming on demand Netflix si appoggia al più facile e vendibile formato della mini-serie (in quattro episodi da circa un’ora ciascuno) per l’altrettanto ambizioso progetto di Tutta la luce che non vediamo, adattamento dell’omonimo romanzo premio Pulitzer di Anthony Doerr.

Diretta da Shawn Levy – regista di diversi episodi nonché produttore di Stranger Things e di The Adam Project, ma anche del prossimo Deadpool 3 – e scritta da Steven Knight – l’acclamato sceneggiatore di Spencer e La promessa dell’assassino nonché creatore dell’epopea di Peaky Blinders – la mini-serie racconta la storia di Marie-Laure, una ragazza francese cieca, e di suo padre, Daniel LeBlanc, che fuggono dalla Parigi occupata dai tedeschi con un diamante leggendario per impedire che finisca nelle mani dei nazisti. Braccati senza sosta da un crudele ufficiale della Gestapo che vuole impossessarsi della pietra preziosa per il suo interesse personale, Marie-Laure e Daniel trovano presto rifugio a St. Malo, dove vanno a vivere con uno zio solitario che diffonde le trasmissioni clandestine per la resistenza.

La storia di lei si incrocia inconsapevolmente ma inevitabilmente con quella di un’improbabile anima gemella, Werner, un adolescente orfano e geniale arruolato dal regime di Hitler per la sua abilità nell’elettronica e mandato al fronte per rintracciare le trasmissioni radiofoniche illegali, che però insieme alla sorella è cresciuto proprio ascoltando le lezioni dello zio di Marie – noto come il Professore – e che oggi continua ad ascoltare lei, e proteggerla dai colleghi nazisti all’insaputa di tutti e a rischio della propria vita.


Tutta la luce che non vediamo: dramma ed emozioni

Con Tutta la luce che non vediamo, Netflix torna a quella Seconda Guerra Mondiale con cui ha vinto lo scorso Oscar per il miglior film internazionale grazie a Niente di nuovo sul fronte occidentale.

Steven Knight, da anni tra le migliori penne in circolazione (che già aveva affrontato gli intrighi delle spie in tempo di guerra in Allied e che con Peaky Blinders aveva indagato i disagi sociali che nella prima metà del XX secolo avevano fatto trovare terreno fertile alle idee naziste), è abile nel tratteggiare personaggi tridimensionali senza scadere nel cliché (il pericolo del soldato hitleriano buono, così come quello del cattivo cattivissimo e folle, con la sottotrama del diamante che secondo la leggenda avrebbe dei poteri magici curativi che non può non far pensare al mondo di Indiana Jones), mentre Levy è particolarmente attento a raccontare i dettagli di un mondo ‘visto’ dal punto di vista di una persona non vedente.

Tutta la luce che non vediamo Recensione 1

In questo senso ottimi i due protagonisti, l’esordiente Aria Mia Loberti – scoperta da Levy durante un casting globale a cui hanno partecipato attrici cieche e ipovedenti – e Louis Hofmann, i quali spiccano in un cast di grandi nomi come Mark Ruffalo, Lars Eidinger e Hugh Laurie. Tuttavia, l’ampio respiro produttivo che Tutta la luce che non vediamo evidentemente cerca nell’arco dei suoi quattro episodi rimane soltanto accennato: la trama così connessa al mondo radiofonico esplicita già un’opera di tante parole e poche immagini – se vogliamo metafora della situazione della protagonista – ma il confine tra scelta artistica ed escamotage è particolarmente sottile in questo caso (se in sottofondo c’è La Suite bergamasque di Debussy si può perdonare quasi ogni cosa).

Certamente sopra la media cui gli abbonati Netflix sono abituati e i fazzoletti saranno sprecati a destra e a manca se siete persone particolarmente propense alle lacrime (chi scrive lo è), eppure la sensazione che il raggiungimento della grandezza assoluta sia rimasto qualche passo più là dal punto in cui ci si è fermati resta forte.

VOTO: 3,5/5

Matteo Regoli

critica i film, poi gli chiede scusa si occupa di cinema, e ne è costantemente occupato è convinto che nello schermo, a contare davvero, siano le immagini porta avanti con poca costanza Fatti di Cinema, blog personale

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